La vita è imprevedibile e risparmiare denaro con regolarità può fornire una rete di sicurezza finanziaria in caso di imprevisti ed emergenze. A questo servono i piani di risparmio: piani che permettono di accantonare una parte del proprio reddito, investendolo con l’obiettivo di accumulare un gruzzoletto e ottenere anche un rendimento, magari nell’ottica di crearsi un paracadute futuro da usare una volta in pensione.
Esistono diversi tipi di piani di risparmio, con caratteristiche differenti. I principali sono i PAC, Piani di Accumulo del Capitale, i PIR, Piani Individuali di Risparmio, e i PIP, Piani Pensionistici Individuali.
Prendiamo tre investitori che chiameremo A, B e C, ciascuno dei quali decide di investire in uno di questi piani.
PAC: Piano di Accumulo Capitale
Il PAC è un fondo comune di investimento che nasce per aiutare i piccoli risparmiatori a far crescere poco alla volta il capitale investito. L’investitore A, che aderisce al PAC, non ha grandi disponibilità di denaro da investire per cui decide di mettere da parte piccole somme di denaro con regolarità, destinate ad aumentare nel corso del tempo tramite investimenti in strumenti diversi concordati con un consulente finanziario.
- L’investitore A decide liberamente quanto investire, con quale frequenza e per quanto tempo. Può decidere poi se versare la somma stabilita ogni mese, ogni tre mesi o ogni sei.
- Nel corso della durata dell’investimento concordata al momento dell’attivazione, mettiamo dieci anni, può scegliere di modificare il piano.
- Può sospendere i pagamenti nel caso si trovasse in un momento di difficoltà.
- Può anche decidere di liquidare solo una parte di quanto accumulato, anche prima della scadenza dei dieci anni.
Il vantaggio principale del PAC è quindi la flessibilità.
L’investitore A decide, ad esempio, di versare inizialmente una somma di 10mila euro, a cui si aggiungono mensilmente 50 euro per 120 mesi. Alla fine, avrà così un capitale di 16mila euro. A questo capitale, si aggiungeranno gli interessi e i rendimenti degli strumenti finanziari incui si è investito.
Più il PAC è lungo, meglio è, perché si beneficia degli interessi che moltiplicano i rendimenti finanziari. In più, investendo piccole cifre in modo frequente, si risente poco della volatilità del mercato, a cui sono invece soggetti gli investimenti unici.
Il PAC è quindi un piano per i risparmiatori che non hanno grandi cifre da investire, ma che in questo modo si impegnano ad accantonare una somma in modo costante. Una volta stabilita la asset allocation con il consulente finanziario, l’investimento avverrà con la frequenza scelta in maniera automatica tramite addebito sul contro corrente. Inoltre, il PAC permette di non cadere nella cosiddetta “trappola dell’emotività”, che porta a investire o meno in base ai trend con decisioni potenzialmente avventate.
L’aspetto importante, però, è stabilire bene qual’ è il sottostante in cui si investe, anche in base alla scadenza che ci si dà. Altrettanto importante è valutare i costi, che di solito sui PAC non sono bassi. Bisogna guardare il costo di attivazione, il costo di gestione e il costo di negoziazione. Quindi è importante leggere bene il KIID (Key Investor Information Document), ovvero il documento che raccoglie le informazioni su costi e possibili rischi dell’investimento. I costi, per quanto piccoli, sono ricorrenti nel tempo e potrebbero infatti intaccare le risorse economiche investite dal nostro investitore A.
PIR: Piani Individuali di Risparmio
I Piani Individuali di Risparmio a lungo termine (PIR) consentono di usufruire di un notevole vantaggio fiscale. Per beneficiare dell’agevolazione, l’investitore B deve rispettare però numerose condizioni, tra cui quelle di garantire che almeno il 70% del portafoglio sia investito in azioni e obbligazioni emesse da società italiane e di mantenere l’investimento nel PIR per almeno cinque anni.
I PIR possono risultare utili anche alle società italiane, perché aumentano le occasioni di finanziarsi attraverso l’emissione di titoli. Uno dei motivi per cui sono stati introdotti i PIR è proprio quello di incoraggiare le imprese, anche quelle di piccola e media dimensione, a collocare titoli negoziabili sui mercati.
I redditi che si ricavano dagli investimenti non concorrono alla formazione del reddito complessivo imponibile dell’investitore B. Quindi l’agevolazione fiscale consiste nell’esenzione totale dalle tasse sui redditi derivanti dagli investimenti effettuati nei PIR. Una convenienza non di poco, considerato che le rendite finanziarie sono generalmente tassate in Italia con un’aliquota del 26%.
Esistono due tipi di PIR tra i quali l’investitore B può scegliere. Quelli ordinari, istituiti nel 2017, e quelli alternativi, creati nel 2021.
I PIR ordinari sono adatti a investitori che non hanno grosse somme da investire: una delle condizioni è, infatti, che l’investimento non superi i 30mila euro annui e i 150mila euro complessivi. L’investitore B, per investire il suo denaro in un PIR, può ricorrere ai fondi comuni, alle assicurazioni o alle società di gestione del risparmio, che fanno da intermediari degli investimenti e si occupano del rispetto delle condizioni necessarie a ottenere il beneficio fiscale. La forma più diffusa di PIR è quella dei fondi di investimento, i cosiddetti fondi PIR.
Quello che l’investitore B deve tenere in considerazione è che i PIR ordinari sono piuttosto rischiosi poiché contengono una quota elevata di azioni e obbligazioni di imprese, anche di piccole dimensioni. Inoltre, sono investimenti scarsamente diversificati, perché la maggior parte dei titoli in portafoglio è emessa solo da società italiane.
Prima di costituire un PIR, l’investitore B deve rendersi conto dei rischi finanziari a cui va incontro. Bisogna poi anche tenere in considerazione i costi connessi alla sottoscrizione di un PIR che, se troppo alti, possono annullare i vantaggi derivanti dal beneficio fiscale.
Se poi l’investitore B ha maggiori disponibilità economiche ed è più esperto, può anche scegliere di investire un PIR alternativo, che è ancora più rischioso perché contiene una quota più elevata di titoli emessi da società italiane di minore dimensione e negoziati su mercati poco liquidi o addirittura non quotati in alcun mercato. Anche in questo caso, almeno il 70% del piano deve essere investito in strumenti finanziari emessi da società italiane non incluse negli indici azionari FTSE MIB o FTSE Mid-Cap.
L’investitore B in questo caso deve sapere che questi piani sono più illiquidi e rischiosi rispetto ai PIR ordinari. I limiti massimi di investimento sono anche molto più alti rispetto ai PIR ordinari: 300.000 euro l’anno, per un valore complessivo non superiore a 1.500.000 euro.
PIP: Piani Pensionistici Individuali
L’investitore C è quello che più si preoccupa di assicurarsi un gruzzolo ulteriore da integrare alla pensione di base quando smetterà di lavorare. Sa già, infatti, che l’importo dell’assegno pensionistico sarà piuttosto basso e si vuole garantire un tenore di vita più elevato. Per questa ragione prima comincia a mettere da parte delle somme e meglio è, in modo da accantonare un capitale maggiore.
In quest’ottica, decide di investire in un Piano Individuale Pensionistico (PIP), che gode di buoni vantaggi fiscali e in più gli consentirà, di affrontare eventuali difficoltà personali o lavorative, quali spese sanitarie improvvise, ristrutturazione della casa o perdita del lavoro.
Per accedere a un PIP, l’investitore C deve sottoscrivere un contratto di assicurazione con un’impresa assicurativa. Al momento della sottoscrizione decide l’importo e la periodicità dei versamenti ma, nel corso del tempo, ha la possibilità di modificare le scelte iniziali.
Una volta stabilita la cifra e la frequenza, dovrà poi decidere se accantonare i propri risparmi in una gestione separata dell’impresa o in uno o più fondi interni, o magari una combinazione delle due cose.
- La gestione separata è caratterizzata da una composizione degli investimenti prudenziale e, nella maggior parte dei casi, dà una garanzia di restituzione del capitale versato o di un rendimento minimo.
- I fondi interni, invece, sono linee di investimento basate su una combinazione di strumenti finanziari, dalle obbligazioni alle azioni, variabili in base al profilo di rischio e al rendimento atteso dall’investitore.
In ogni caso, per scegliere la linea di investimento più adatta, l’investitore C dovrà accertarsi di quanti anni gli mancano per ottenere la pensione di base e avere almeno una stima della futura pensione, in modo da decidere se e quanto rischiare per avere un rendimento futuro maggiore.
Da tenere in considerazione però sono soprattutto i costi, che per i PIP possono essere alti, finendo per avere inevitabilmente un impatto sull’importo della pensione complementare. Per cui, prima dell’adesione, l’investitore C deve conoscere l’Indicatore Sintetico dei Costi (ISC), che è un valore percentuale che misura quanto incidono annualmente i costi sulla posizione individuale maturata.
Ogni anno, comunque, l’impresa di assicurazione invierà all’investitore C le informazioni sulla sua posizione individuale con la Comunicazione periodica. Il documento contiene informazioni sull’andamento dell’investimento e anche una simulazione dell’importo presunto della futura pensione complementare. Il che può essere utile per valutare eventuali cambiamenti nelle scelte di investimento.
I vantaggi del piano individuale pensionistico per l’investitore C sono innanzitutto fiscali, perché è possibile portare in deduzione i contributi versati fino ad un massimo di 5.164 euro; quindi, si pagano meno imposte sui redditi. Inoltre, i rendimenti della gestione finanziaria sono tassati con un’aliquota massima del 20% anziché del 26%. La pensione complementare e il capitale, ma anche le anticipazioni o riscatti della posizione individuale per far fronte a spese impreviste personali o familiari, sono tassati con un’aliquota agevolata che varia dal 15% al 9% in base al numero di anni di partecipazione. Tuttavia. peralcune tipologie di richieste di anticipazione, come la ristrutturazione o l’acquisto della prima casa, si applica l’aliquota del 23%.