Educazione finanziaria: aumenta l’interesse, restano le lacune

Guida alla finanza
La quarta edizione della Ricerca sullo stato dell’educazione finanziaria in Italia, promossa da Pictet Asset Management, fa emergere tendenze, passi avanti e tanti punti deboli.
Educazione finanziaria: come investono gli italiani?

Cresce l’interesse per i temi finanziari, aumenta la volontà di saperne di più. Resta però una certa difficoltà ad approfondire l’argomento e una limitata conoscenza di soluzioni quali previdenza complementare e Piani di Accumulo Capitale. Sono alcune delle evidenze emerse dalla Ricerca sullo stato dell’educazione finanziaria in Italia promossa da Pictet Asset Management.

Lo studio, alla quarta edizione, ha coinvolto 5.000 individui, equamente divisi tra investitori e non investitori. Consente non solo di scattare una fotografia del quadro attuale ma anche di individuare le tendenze dell’educazione finanziaria nel nostro Paese. 

Interesse in aumento per il mondo degli investimenti

Una delle grandi sfide dell’educazione finanziaria è stimolare la curiosità e aiutare a comprendere che conoscere il mondo degli investimenti è importante per chiunque, anche in assenza di patrimoni consistenti. Ecco perché l’interesse nei confronti di finanza, investimenti e borsa è alla base di tutto. Da questo punto di vista, ci sono buone notizie. Gli intervistati che lo definiscono “molto” o “abbastanza” alto rappresentano oggi l’88% del campione. Un dato in deciso progresso rispetto alla prima edizione dell’indagine, quando si fermava al 76%. 

L’interesse (molto alto per un Boomer su due ma solo per un terzo della Gen Z) cresce progressivamente con il passare degli anni. È una tendenza che si deve a una correlazione tra l’età e il patrimonio. In sostanza, ci si avvicina alla finanza quando si hanno più risorse da gestire. È un trend comprensibile, ma non privo di controindicazioni: il fattore tempo, infatti, è decisivo. Prima ci si avvicina al settore finanziario e meglio è, indipendentemente dalle cifre di partenza e in vista di un futuro più sostenibile.

Dalla curiosità alle competenze

Il primo scoglio è passare dalla curiosità alla comprensione. Lo scenario delle competenze, infatti, alterna notizie buone e meno buone. Due, in particolare, sono le note positive: la quota di chi definisce le proprie conoscenze finanziarie “basse” si è ridotta dal 5% all’1%; allo stesso tempo è aumentato in modo sensibile rispetto al 2021 (dal 31% al 42%) il gruppo di chi, partendo da conoscenze modeste, vorrebbe saperne di più, soprattutto tra i giovani.

Resta però alcune lacune: non ci sono stati passi avanti tra chi definisce le proprie competenze finanziarie “avanzate” o “professionali” (la somma dei due gruppi è ferma al 31%) ed è diminuita dal 33% al 26% la quota di chi pensa di possedere un livello “discreto”.

Cosa ostacola l’educazione finanziaria?

La percentuale di chi si dedica all’informazione finanziaria quotidianamente o settimanalmente (passata dal 33% del 2022 al 38%) è aumentata. Ma restano ancora diversi ostacoli che limitano i progressi.

Come nel 2021, la percezione di avere a che fare con una materia complessa o di non facile comprensione è ancora un freno importante, indicato dal 47% del campione. Rispetto alla prima edizione c’è poi un cambiamento netto: un aumento notevole (dal 22% al 39%) degli individui che affermano di non trovare contenuti o referenti per migliorare la propria educazione finanziaria. Una quota che sale fino al 46% nella Gen Z (i nati tra il 1997 e il 2010). La voglia di conoscere viene quindi fiaccata, spesso, perché non si trovano contenuti con un linguaggio, uno stile e un livello di approfondimento adatti. Soprattutto per i più giovani.

La finanza è social

La stampa e la televisione sono in crisi. È una tendenza che vale anche per la finanza. Oggi la tv è il canale prevalente solo per il 10% degli intervistati, ben nove punti percentuali in meno rispetto al 2021. Anche i giornali hanno perso quota, dal 13% all’8%. L’educazione finanziaria passa sempre più spesso da eventi digitali (passati dal 19% al 24%), da video tutorial sul web (dal 13% al 18%, con un picco del 27% nella Gen Z) e soprattutto dai social network (dal 27% al 36%).

È interessante notare come i comportamenti delle diverse generazioni abbiano non poche somiglianze. Il calo di televisione e stampa è comune a tutte le fasce d’età, anche se giornali e tv hanno ancora un peso per i Boomer (12% per entrambi i canali) mentre sono già residuali per la Gen Z (3% per la stampa e 4% per la televisione).

Comune è anche la preferenza per i social network, fonte prevalente d’informazione per oltre un terzo degli intervistati di tutte le generazioni. Ciò che cambia è la scelta della piattaforma. Per Boomer e Gen X (cioè per i nati tra il 1940 e il 1980) prevalgono WhatsApp e Facebook. La Gen Y (1981-1996) è una sorta di generazione di mezzo: opta soprattutto per Instagram, esplora TikTok ma usa ancora Facebook e WhatsApp. Con la Gen Z, invece, assistiamo a un vero e proprio cambiamento: Instagram è il social network principale per reperire informazioni finanziarie, seguito da TikTok. Whatsapp tiene, mentre Facebook è praticamente scomparso dai radar.

Questione di fiducia

I social network hanno visto anche aumentare la propria credibilità. Sono indicati come fonti attendibili dal 27% degli intervistati. Un balzo enorme rispetto a due anni fa, quando si fermavano al 2%. Come nelle passate edizioni, però, le fonti ritenute più solide sono amici e conoscenti, indicati dal 49% del campione.

Forte è anche la fiducia nei confronti di scuole e docenti: il 55% dei cittadini si fida di loro sulle tematiche finanziarie. Il dato è coerente con quello che inquadra la reputazione dei progetti di educazione finanziaria in classe. Il 58% (contro il 49% dello scorso anno) ne dà un giudizio positivo.

Si è rafforzata la fiducia nei confronti delle istituzioni (come Consob, Bankitalia e Mef), passata in due anni dal 31% al 45%. Molto più debole è invece la credibilità di assicuratori (15%), banche (22%), commercialisti (25%), consulenti (27%) ed Sgr (28%). Pare quindi emergere un tema di fiducia. 

A chi chiedo?

Il tema della fiducia si intreccia con un’altra zavorra. Il 39% degli intervistati (con un’incidenza ancora più alta tra i più giovani) non sa a chi rivolgersi. Pesa molto di più questo fattore rispetto alla difficoltà di scegliere lo strumento (28%) o il momento giusto (19%) per investire.  

Il disorientamento (vedi, di nuovo, la voce “fiducia”) si salda con il timore di avere un consulente finanziario poco preparato (opzione indicata dal 39% degli intervistati). Si ha anche paura di non saper gestire con freddezza un momento di crisi del mercato (28%) e di decidere di investire quando i mercati sono già saliti (21%).

Preoccupazioni e cautela

Guardando al futuro, gli italiani dimostrano la consueta cautela, che si salda – non senza paradossi – con una visione pessimistica.

Il 27% degli intervistati afferma infatti che risparmia o risparmierebbe per le emergenze future e il 33% per avere una maggiore solidità finanziaria. C’è però ancora una fetta consistente della popolazione (il 46%) che non riesce a risparmiare o lo fa solo in alcuni mesi. Emerge anche una certa apprensione: il 69% degli italiani è preoccupato per la situazione finanziaria, che è stata influenzata da aumento dei tassi, carovita, dubbi sulla pensione futura e scarsa disponibilità in caso di emergenze.

È significativo però che a rispondere di non avere preoccupazioni sono soprattutto gli individui con il grado di educazione finanziaria più basso (36% contro una media complessiva del 31%). La cautela sfocia quindi (nel peggiore dei casi) in una mancata consapevolezza dei rischi dell’immobilismo o (nel migliore) nella tendenza a prediligere investimenti a basso rischio.

Secondo i non investitori, infatti, la quota di liquidità corretta da detenere nel proprio portafoglio è in media del 62%, contro il 30% degli investitori. Chi investe punta soprattutto sull’obbligazionario (47%). Molto meno rispetto a immobiliare (22%) e liquidità (17%). Appena il 9% investe in azioni e il 5% in oro. Si predilige inoltre il breve periodo.

L’indagine promossa da Pictet Asset Management, a tal proposito, fa emergere quello che definisce “un paradosso”. L’investimento in azioni cresce con l’età. Una contraddizione, visto che i giovani – più incentivati a un orizzonte più lontano – dovrebbero guardare con maggiore interesse all’azionario, che storicamente è performante proprio nel lungo periodo.

PAC e pensione integrativa

Uno dei punti più critici dell’indagine riguarda la conoscenza di due tra gli strumenti finanziari più semplici: la previdenza complementare e i Piani di Accumulo Capitale (PAC), pensati proprio per un pubblico ampio.

Il 78% afferma di non essere interessato alla previdenza complementare. Le motivazioni sono diverse: c’è chi investe in altro e chi è convinto che basterà la pensione pubblica. C’è però, soprattutto, un 37% che afferma di non averci ancora pensato. Quantomeno una sottovalutazione, che non a caso aumenta (al 49% e al 55%) tra chi ha un livello di alfabetizzazione finanziaria discreto o basso.

Non va meglio per i PAC. Non sono conosciuti dall’82% degli intervistati della Gen Y e dell’87% della Gen Z. Se questi ultimi hanno la (parziale) scusante della gioventù, preoccupa il ritardo dei primi (che, come minimo, sono a ridosso dei trent’anni): solo il 6% ha o ha avuto un Piano di Accumulo Capitale.

Ricerca Edufin 2024, dati educazione finanziaria e investimenti in Italia