C'è un caso in cui l'economia si trova in una situazione di stallo. Si chiama trappola della liquidità e si verifica quando gli operatori economici, condizionati da aspettative future negative e da tassi bassi, decidono di trattenere denaro anziché investirlo.
Quando scatta la trappola, la politica monetaria – avendo esaurito gli strumenti convenzionali a propria disposizione – esaurisce la propria capacità di influire sull'economia. Ma vediamo, più nel dettaglio, quali sono i meccanismi che governano questo scenario.
Keynes e la liquidità
Il meccanismo della trappola della liquidità è stato esposto per la prima volta da John Maynard Keynes, in uno dei saggi più influenti nella storia dell'economia: “Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta”. Nel capitolo 15, intitolato “Gli incentivi psicologici e commerciali alla liquidità” Keynes definisce la teoria della “preferenza per la liquidità”, che è alla base della trappola. E che, come si nota sin dal titolo del capitolo, coinvolge fattori non solo economici ma anche psicologici.
Come funziona la trappola della liquidità?
In condizioni normali, le Banche Centrali riducono i tassi per stimolare la domanda di moneta, con l'obiettivo di incentivare prestiti e investimenti. In sostanza, i tassi bassi ambiscono a essere un supporto per l'attività finanziaria e – a cascata – per l'economia reale.
Quando però i tassi si abbassano al di sotto di un livello critico (vicino allo zero), imprese e famiglie, secondo Keynes, preferiscono accumulare liquidità piuttosto che investire. Succede perché gli operatori economici si aspettano un rialzo futuro dei tassi. Aspettano quindi di acquistare titoli di nuova emissione più remunerativi e sperano di evitare perdite patrimoniali (perché quando i tassi aumentano, il credito in portafoglio perde valore). Ed è qui che scatta la trappola.
Quando scatta la trappola
La trappola si verifica quando alla “preferenza per la liquidità” si accompagnano aspettative future deboli e capacità d'intervento ridotte da parte delle Banche Centrali. Se i tassi sono vicini o pari a zero e la domanda di beni e servizi resta bassa, vuol dire che la politica monetaria non ha più strumenti convenzionali per incidere. In altre parole, si rompe quella catena che dovrebbe legare il calo dei tassi a un aumento di investimenti, produzione e prezzi.
La stasi finanziaria “razionale” (si aspettano tassi futuri più alti), abbinata al fattore psicologico (le aspettative future sono deboli) portano al più classico circolo vizioso: trattenendo liquidità si partecipa attivamente al temuto rallentamento economico. Una sorta di “profezia che si autoavvera”.
Come uscire dalla trappola
Ci troviamo, in questo momento, in un periodo di rialzo dei tassi. Si potrebbe definire, più precisamente, una fase di “normalizzazione”, dopo anni di politica monetaria estremamente espansiva. Per anni, infatti, fino alla pandemia e al ritorno dell'inflazione, l'Europa si è ritrovata in uno scenario da trappola. Tassi azzerati, aumento dei prezzi blando e crescita debole. In sostanza, gli strumenti convenzionali non sono stati più sufficienti, tanto da spingere la BCE – ma anche la FED dall'altra parte dell'Atlantico – a varare un più ampio programma di quantitative easing.