I lupini, serviti con un bicchiere di birra o di vino, non mancano mai sulle tavole di Lisbona. Sono così comuni da essere conosciuti come “i frutti di mare dei poveri”. Eppure, Cata Gorgulho, nata e cresciuta proprio in questa città, non ci aveva mai fatto caso. L’amore per i lupini è scoppiato solo dopo diversi anni e, soprattutto, dopo essere diventata vegana.
Cercando alternative nella sua dieta, ha scoperto che sostituire la carne con lenticchie e ceci le provocava una costante sensazione di gonfiore. Facendo una ricerca sui suoi sintomi online, si è imbattuta in un annuncio che esaltava le qualità nutrizionali dei lupini, un alimento proteico a basso contenuto di lectine, una sostanza nota per causare gonfiore e cattiva digestione. Dopo essere passata dalle lenticchie ai lupini, ha cominciato a sentirsi meglio. È in questo momento che il suo rapporto con “i frutti di mare dei poveri” cambia.
"In Portogallo è profondamente radicato nella cultura consumare i lupini come spuntino. Sono cresciuta pensando che non fossero sani, probabilmente perché associati alla birra", spiega Gorgulho. "I lupini sono invece un'incredibile coltura rigenerativa. Sono ricchi di proteine e fibre, offrendo un profilo nutrizionale completo come quello della soia".
Gorgulho è rimasta così colpita del potenziale dei lupini come fonte di cibo sostenibile da decidere di costruirci un'attività. Ha fondato una startup e l’ha chiamata Tarwi, come la parola lupino nella lingua sudamericana quechua.
La società, con sede a Londra, produce salse, snack e proteine in polvere a base di lupini, con l'obiettivo di competere nel mercato globale in rapida crescita delle proteine vegetali, che si prevede raggiungerà un valore di 40 miliardi di dollari entro i prossimi cinque anni.
Lupini: una storia agrodolce
I lupini hanno il potenziale per competere con la soia come proteina vegetale più consumata al mondo. Gorgulho ne sottolinea l’elevata densità di nutrienti, con le proteine che rappresentano il 40% del contenuto calorico, un livello simile a quello della soia. Le fibre rappresentano il 30%, il doppio della soia. I lupini forniscono inoltre tutti i dieci aminoacidi essenziali che gli esseri umani non possono produrre e che devono quindi essere assunti con la dieta.
I lupini sono anche più facili da coltivare, spiega Gorgulho. I semi di soia preferiscono i climi caldi e richiedono molto azoto per crescere. I lupini, invece, tendono a prosperare in ambienti freddi e umidi e alcune varietà possono resistere persino al gelo. I lupini hanno poi la capacità di “fissare” l’azoto, una funzione naturale dell’ecosistema che arricchisce il suolo. Uno studio ha dimostrato che l’utilizzo dei lupini come coltura a rotazione accresce la fertilità del terreno, migliora l’accesso all’acqua e previene le malattie delle radici nelle colture.
"È un circolo virtuoso. Gli agricoltori non hanno bisogno di fare affidamento sui fertilizzanti e ottengono rese più elevate nei raccolti successivi. Inoltre, ottengono un'ulteriore fonte di reddito", afferma Gorgulho. “I lupini sono gli eroi dell’agricoltura rigenerativa”.
Nonostante questi vantaggi, devono ancora conquistare spazio tra gli elementi plant-based. Molte varietà contengono alcaloidi amari e spesso tossici, che devono essere accuratamente rimossi prima del consumo. I progressi nella tecnologia alimentare, però, potrebbero presto eliminare questo inconveniente. Gli scienziati hanno già identificato un gene responsabile della produzione di composti amari. Una mutazione genetica può quindi trasformare i lupini, donando loro un sapore più dolce. Gorgulho collabora con un'azienda sementiera che ha sviluppato varietà di lupini dolci, eliminando la necessità del processo per rimuovere l’amaro.
Un altro limite è la mancanza di produzione di lupini in Europa, che rende le forniture più problematiche per l’industria alimentare. Tarwi, ad esempio, acquista lupini dall'Australia, poiché un piccolo agricoltore portoghese con cui ha lavorato inizialmente ha esaurito la sua capacità produttiva in appena una settimana.
Per affrontare questa sfida, la startup sta promuovendo attivamente la produzione locale, con l’obiettivo di affidarle in futuro il 100% dell’approvvigionamento.
Storicamente, il basso prezzo dei lupini e le politiche europee a favore della soia importata hanno scoraggiato la coltivazione locale. Tuttavia, l’aumento dei prezzi della soia, le preoccupazioni sulla deforestazione legate all’intensificazione della sua produzione e le questioni relative alla sicurezza alimentare hanno riacceso l’interesse per la coltivazione dei lupini in Europa.
La quota europea della produzione globale di lupini è così cresciuta, passando dal 17% del 2011 al 28% del 2021. I semi di soia attualmente vengono commercializzati a circa 500-600 dollari la tonnellata, mentre i lupini costano circa il 70% in meno.
L'hummus migliore?
Tradizionalmente, i lupini vengono consumati come spuntino in salamoia, spesso venduti in secchi o barattoli. Tarwi evita gli additivi chimici e si affida alla pastorizzazione ad alta pressione, un metodo di conservazione degli alimenti non termico che elimina efficacemente i microrganismi che rovinano gli alimenti, garantendo una conservazione più lunga.
Tarwi vende hummus a base di lupini (che chiama Lummus) nei negozi Whole Foods Market di Londra e in altri rivenditori specializzati di prodotti alimentari. Si rivolge così ai britannici, che con una quota del 40% sulle vendite sono i maggiori consumatori di hummus in Europa.
“Come è possibile - si chiede Gorgulho - che io sia cresciuta con i lupini e li abbia evitati per così tanto tempo? La gente non li considera molto perché non c'è stato un brand moderno capace di promuoverli”.
Le prospettive degli investimenti
Il sistema alimentare globale è una delle più grandi leve a nostra disposizione per affrontare le principali sfide ambientali e sociali. Vari obiettivi politici per affrontare le crisi ambientali e sanitarie – come quello dell’UE di dimezzare lo spreco alimentare pro capite entro il 2030 – stanno portando a maggiori investimenti pubblici in nuove tecnologie.
Si investe in nuove soluzioni, mirate a rafforzare le filiere, innalzare gli standard produttivi e ridurre gli sprechi. Basti pensare alle tecnologie per prolungare la durata di conservazione e prevenire il deterioramento o alle soluzioni di imballaggio innovative.
Anche il gusto e il comportamento dei consumatori stanno cambiando. La domanda di alternative a base vegetale è in crescita, perché consumatori come i Millennial e la Generazione Z sono diventati più consapevoli della propria salute e dell’ambiente. Per il bene del nostro corpo e del pianeta, l’influente rapporto della Eat-Lancet Commission sull’alimentazione raccomanda una dieta a base vegetale, in cui cereali integrali, frutta fresca e secca, verdura e legumi costituiscano una percentuale maggiore di alimenti rispetto a carne e latticini.