Il temine svalutazione è spesso utilizzato, con accezione generica, per indicare una perdita di valore. In economia ha, in realtà, un significato ben preciso, legato al valore di monete e merci.
Svalutazione di merci e svalutazione monetaria
Si parla di svalutazione di merci quando un prodotto perde valore nei confronti della moneta. È un “effetto collaterale” della domanda e dell’offerta: nel momento in cui aumentano le unità disponibili di un prodotto, il suo valore monetario diminuisce. Cioè, appunto, si svaluta.
Si parla invece di svalutazione monetaria quando, per decisione delle banche centrali, una moneta perde di valore nei confronti di un’altra (o altre) monete. In realtà, sarebbe più corretto utilizzare il termine svalutazione monetaria in riferimento al regime dei cambi fissi, in vigore dal 1944 al 1973, che agganciavano le monete al dollaro e quest’ultimo all’oro.
In un regime di cambi variabili (definiti da domanda e offerta), sarebbe più corretto parlare di “deprezzamento”, anche quando la risposta del mercato è incentivata dalle azioni delle banche centrali. Per convenzione si continua però a utilizzare il termine svalutazione. Ma perché può essere utile rendere una moneta più debole?
La svalutazione competitiva
Una moneta forte ha senza dubbio il merito di dare più potere d’acquisto e, in un regime di libero scambio, rende più convenienti le importazioni. Ha però anche un altro effetto, collegato al primo: compromette le esportazioni.
La decisione di svalutare una moneta ha quindi l’obiettivo di incentivare l’export per riequilibrare la bilancia commerciale, rischiando però di far perdere potere d’acquisto ai propri cittadini. In sostanza, la manovra mira a ottenere vantaggi competitivi nei confronti di uno o più Paesi che detengono una moneta più forte. Ecco perché si dice “svalutazione competitiva”.
Non potendo agire su una svalutazione vera e propria, come ai tempi dei cambi fissi, oggi le banche centrali come BCE e FED utilizzano altri strumenti per alleggerire o appesantire la valuta. Come? Immettendo moneta nel sistema economico, un obiettivo che si può raggiungere con azioni più o meno convenzionali, come il taglio dei tassi d’interesse e soprattutto l’acquisto di titoli di Stato e le operazioni di rifinanziamento.
Dalla svalutazione alla guerra valutaria
La svalutazione può essere quindi una mossa incisiva, che però deve tenere conto di molte variabili non solo interne. A ogni azione, infatti, segue una reazione. Se un Paese o una comunità di Stati si muovono per rendere il cambio della propria moneta più favorevole, supportano il proprio export ma – indirettamente – penalizzano quello dei Paesi in cui le monete sono più forti.
Facciamo un esempio. Se l’euro dovesse deprezzarsi in modo significativo nei confronti del dollaro, i Paesi europei diventerebbero più appetibili per gli acquirenti extra UE. Le aziende cinesi potrebbero quindi preferire fare acquisti in Italia o in Germania piuttosto che negli Stati Uniti. E le stesse imprese USA potrebbero esplorare la possibilità di acquistare oltre-Atlantico piuttosto che affidarsi al mercato interno. A questo punto, però, viste le possibili ripercussioni, Washington potrebbe intraprendere misure simili, svalutando il dollaro e portando a una potenziale escalation, definita “guerra valutaria”. Si tratta di uno scenario da evitare, perché – oltre a compromettere l’equilibrio delle bilance commerciali – potrebbe condurre a un irrigidimento degli scambi internazionali e, di conseguenza, a un impatto economico negativo.
Svalutazione vs inflazione
La svalutazione monetaria non va confusa con l’inflazione. L’aumento dei prezzi comporta una perdita del potere d’acquisto e, in definitiva, una perdita del valore intrinseco della moneta. La svalutazione guarda invece al rapporto “esterno”, con le altre monete, ed è, almeno nel significato più proprio, una decisione esclusiva delle banche centrali. Oggi, da quest’ultimo punto di vista, la differenza è più sfumata. Da una parte, la svalutazione non è più una mossa del tutto controllata; dall’altra le banche centrali si attivano con gli strumenti a propria disposizione per raggiungere un’inflazione il più possibile stabile e vicina al 2%.