Gli Accordi di Bretton Woods: quando i cambi erano fissi

Guida alla finanza
Oggi le valute si apprezzano e si deprezzano di continuo. Fino a poco più di cinquant’anni fa, però, non era così. Tutto partiva da dollaro e oro.

Per secoli (anzi, per millenni) la moneta è stata merce: coniata con metalli preziosi, aveva un valore intrinseco. Le cose sono cambiate quando gli Stati hanno deciso di prendersi il monopolio dell’emissione, non più di monete-merci ma di moneta stampata. Più facile da gestire e da trasportare, ma con la controindicazione di avere fluttuazioni, speculazioni e valori arbitrati.

Si è quindi avvertita la necessità di fare ordine e dare stabilità. È questo il principio alla base dei regimi di cambi fissi: il valore di una valuta viene determinato in relazione a un bene o a un’altra valuta.

Cos’è il gold standard?

Per decenni, dal 1870 fino alla Prima guerra mondiale, si è optato per la prima strada: il valore della moneta corrispondeva a una determinata quantità di oro. In questo modo, si evitavano oscillazioni ampie e si assicurava la convertibilità delle monete. È l’epoca del cosiddetto “gold standard”. La soluzione inizia a incrinarsi con il primo conflitto mondiale: gli Stati fanno fatica a raccogliere sufficienti riserve d’oro e il metallo non riesce più a “pareggiare” il valore delle monete in circolazione. Si cerca così un’alternativa, che arriva con gli accordi di Bretton Woods.

Gli accordi di Bretton Woods

Gli accordi di Bretton Woods, che prendono il nome dalla cittadina del New Hampshire dove vennero firmati il 22 luglio del 1944, rappresenteranno il nuovo standard fino al 1971. Anche il regime che esce da Bretton Woods è di cambi fissi tra le valute dei vari Paesi. Ma a differenza del gold standard, a essere ancorato direttamente al metallo è solo il dollaro, con una convertibilità fissata a 35 dollari l’oncia. Le altre monete, invece, hanno cambi fissi con il dollaro. Inizia l’era del gold exchange standard:tutti agganciati al dollaro, a sua volta agganciato all’oro.

Gli accordi di Bretton Woods riflettono una visione liberista, perché puntano sulla mobilità dei capitali. Istituiscono inoltre il Fondo Monetario Internazionale (FMI) e la Banca Internazionale per la Ricostruzione e lo Sviluppo (più conosciuta come Banca Mondiale), incaricati tra le altre cose di promuovere la cooperazione tra gli Stati e la stabilità dei tassi di cambio in modo da evitare svalutazioni competitive.

La fine degli accordi di Bretton Woods

Con il passare degli anni, però, la tenuta di Bretton Woods inizia a incrinarsi per diverse ragioni. Prima di tutto, un sistema così rigido non poteva rispondere allo stesso modo alle esigenze (anche molto diverse) dei singoli Stati. Ce n’erano alcuni con inflazione bassa e surplus; altri con potere d’acquisto in ribasso ed elevato deficit (come gli Stati Uniti). La speculazione e la sfiducia nei confronti del dollaro portano la Casa Bianca a bloccare l’obbligo che imponeva alla Federal Reserve di convertire dollari in oro al rapporto fisso di 35 dollari l'oncia. È il 1971. Di fatto, la fine di Bretton Woods e l’inizio - seppur graduale – del regime di cambi flessibili.

Il serpente monetario europeo e gli accordi Smithsoniani del regime dei cambi flessibili

Venuto meno, di colpo, il sistema monetario internazionale vigente, si tentano strade alternative. Pochi mesi dopo il naufragio di Bretton Woods, un gruppo di alcuni tra i maggiori dieci Paesi al mondo (Stati Uniti, Gran Bretagna, Canada, Francia, Repubblica Federale di Germania, Italia, Paesi Bassi, Belgio, Svezia e Giappone) sottoscrivono lo Smithsonian Agreement. Il dollaro resta l’anello di congiunzione tra l’oro e le altre valute, ma la FED continua a non essere obbligata a convertire la moneta statunitense in oro. Il dollaro, inoltre, ottiene una svalutazione (con un cambio più vantaggioso, di 38 dollari l’oncia), vengono definiti nuovi tassi di cambio e viene introdotta una fascia d’oscillazione del 4,5%, per avere più flessibilità.

Agli accordi Smithsoniani si accoda il cosiddetto “serpente monetario europeo”. Le valute di alcuni Paesi europei mantengono più flessibilità sul dollaro, ma istituiscono un regime di cambi più stringente tra le valute comunitarie, con un’ampiezza dell’oscillazione dimezzata. È un tentativo che dura poco, con diversi Paesi (tra i quali l’Italia) che escono dal “serpente” per l’incapacità di mantenere i cambi stabili. Si tornerà ad avere un accordo più ampio e condiviso solo nel 1979, con il Sistema Monetario Europeo, prodromo della moneta unica. Ormai però è l’epoca dei cambi fluttuanti, nel quale le monete si apprezzano e si deprezzano sul mercato, senza un vero standard monetario internazionale.

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