Il campo dell’Intelligenza Artificiale, com’è noto, è in forte espansione. Decenni di ricerca nel settore si stanno concretizzando finalmente in strumenti e modelli che si avvicinano ormai all’intelligenza umana.
Ma questa è davvero l’età dell’oro dell’Intelligenza Artificiale? In passato non sono certo mancate le sopravvalutazioni. Negli anni Sessanta, ad esempio, Herbert Simon predisse che i computer sarebbero stati in grado di competere con gli esseri umani nel giro di vent’anni. E Marvin Minsky, uno dei padri fondatori dell’informatica, ha predetto che il problema della creazione dell’Intelligenza Artificiale sarebbe stato risolto entro una generazione.
Nessuna delle due previsioni si è ancora concretizzata.
Cosa dicono i dati?
Analizzando la storia e il ritmo dell’innovazione nei settori tecnologici chiave attraverso i dati contenuti negli articoli scientifici e nelle registrazioni dei brevetti, emerge che si è avuta un’impennata nella ricerca sull’Intelligenza Artificiale nei primi anni Ottanta, con un calo significativo però nell’ultima parte del decennio. È il cosiddetto “inverno dell’Intelligenza Artificiale”, che indica i periodi in cui il settore ha registrato un rallentamento dei finanziamenti e della ricerca.
Eppure, questi non sono stati tempi del tutto improduttivi. L’analisi indica, infatti, che in questo periodo concetti chiave come le reti neurali e il deep learning hanno attirato maggiore attenzione, gettando le basi per le scoperte a cui stiamo assistendo oggi.
La ricerca rileva infatti una riduzione generale della diversità linguistica nella letteratura accademica intorno al 2006, raggiungendo il livello più basso dell’intero periodo negli anni più recenti. Al contrario, nello stesso periodo, la diversità linguistica è aumentata invece nei brevetti. Ciò è in linea con altre prove che suggeriscono che il settore si sta concentrando su un sottoinsieme di temi, sostituendo una maggiore profondità della ricerca con la commercializzazione.
Juan Mateos-Garcia, Director of Data Analytics presso Nesta, ha lavorato a uno studio per esplorare la diversità tematica nella ricerca sull’Intelligenza Artificiale. Le sue scoperte, basate su un campione di 110.000 articoli sul tema, hanno mostrato che la diversità tematica è diminuita nell’ultimo decennio, proprio mentre però l’Intelligenza Artificiale sembra prendere il volo nel mondo reale. “Ci si sarebbe aspettati che la crescente portata del mercato dell’Intelligenza Artificiale favorisse la diversità”, afferma Mateos-Garcia. Invece è accaduto il contrario. Uno dei motivi, sostiene, è che il settore privato è l’attore dominante nel finanziamento e nella conduzione della ricerca e le aziende si stanno concentrando su una gamma più piccola di applicazioni orientate al business.
Mateos-Garcia sostiene anche che l’attenzione del settore universitario si sta riducendo, in parte a causa della sua crescente collaborazione con l’industria tech. Ciò è preoccupante perché le istituzioni accademiche sono state la fucina delle scoperte sull’Intelligenza Artificiale in passato, dalla storica scuola estiva del Dartmouth College del 1956 (che avrebbe dato vita all’era dell’Intelligenza Artificiale) ai programmi di lavoro del progetto Stanford AI e del MIT AI Lab. Le innovazioni fondamentali che guidano l’Intelligenza Artificiale oggi, come le reti neurali e il deep learning, hanno le loro radici proprio nel mondo accademico.
Sebbene la commercializzazione sia chiaramente importante per garantire investimenti continui nell’Intelligenza Artificiale per risolvere i problemi del mondo reale, si potrebbe sperimentare però una via di mezzo rispetto all’attuale tendenza.
La preoccupazione di Mateos-Garcia è che l’innovazione dell’Intelligenza Artificiale non si stia solo riducendo, ma che il settore nel suo insieme non stia innovando nelle aree che contano di più. “Abbiamo visto incredibili progressi nella pubblicità e nei social media”, dice, “ma in molte delle più grandi sfide sociali, istruzione, salute e ambiente e persino il COVID-19, l’Intelligenza Artificiale ha davvero aiutato? Ci sono pochissime prove di impatto”.
Venti orientali
Una tendenza finale osservabile è uno spostamento decisivo dei luoghi dell’innovazione dell’Intelligenza Artificiale dal Nord America e dall’Europa negli anni Sessanta e Settanta all’Asia orientale, in particolare Giappone e Cina. La quota globale della ricerca sull’Intelligenza Artificiale in Cina è balzata dal 4% nel 1997 al 28% nel 2017, la più alta di qualsiasi Paese.
A marzo 2019, il numero di aziende cinesi di Intelligenza Artificiale ha raggiunto la soglia di 1.189, secondo solo alle oltre 2.000 aziende negli Stati Uniti. Il loro focus è principalmente sul riconoscimento vocale e delle immagini, che stanno trovando ambiti d’uso in aree tra cui vendita al dettaglio, fintech, trasporti e intrattenimento.
Le principali aziende cinesi si trovano in vantaggio rispetto alle aziende occidentali perché il potere dell’Intelligenza Artificiale si basa, in gran parte, su enormi tratti di dati che consentono un continuo perfezionamento e ricalibrazione, che la popolazione cinese di 1,4 miliardi di persone può fornire. Ma stiamo parlando ancora di applicazioni deboli.
Il futuro probabilmente riserverà sorprese, con altre applicazioni e usi inaspettati. L’idea che Intelligenza Artificiale e automazione porteranno alla disoccupazione di massa, in effetti, è già messa in discussione, grazie all’esperienza fatta nel mondo reale con i software di Intelligenza Artificiale che aumentano le capacità umane, correggendo al contempo errori che potrebbero influire sulle prestazioni lavorative. L’importanza della supervisione umana creerà nuove categorie di competenze e abilità intorno all’Intelligenza Artificiale etica e responsabile che potrebbero, nel tempo, portare a nuovi programmi di ricerca per plasmare la prossima generazione delle innovazioni dell’Intelligenza Artificiale.