Il fast fashion ha trovato la sua fortuna basandosi sul consumo - e purtroppo sullo scarto – di nuovi vestiti in ogni stagione: ogni anno vengono prodotti 100 miliardi di nuovi capi di abbigliamento e questa produzione esagerata porta le emissioni di carbonio del settore della moda allo stesso livello dell'intera Unione Europea. Fortunatamente, mentre il fast fashion continua a trascinare la cultura consumistica della moda, negli ultimi anni abbiamo visto una crescente attenzione alla ricerca di modalità alternative per una produzione sostenibile.
Il futuro è circolare, ma c’è molta strada da fare
La volontà di molti Paesi di evolvere verso un’economia circolare, supportata da organizzazioni come Ellen MacArthur Foundation, sta spingendo sempre più aziende a creare catene di approvvigionamento in cui i vecchi prodotti possono rientrare nella fase di produzione. La fondazione Ellen MacArthur ha spiegato che un sistema circolare di questo tipo potrebbe generare 560 miliardi di dollari di opportunità economiche attraverso nuovi modelli di business. E con i consumatori sempre più attenti all'ambiente, questi approcci circolari possono anche migliorare la percezione delle aziende che si impegnano nella sostenibilità.
Tuttavia, si tratta di un settore dove le cose cambiano ancora troppo lentamente, ecco perché è necessaria anche un’innovazione nel riciclo dei prodotti chimici. Secondo l’imprenditrice Edwina Huang, la maggior parte dei produttori richiede tessuti con un peso molto preciso in grammi per metro quadro e una fibra particolare. “Non possiamo cambiare il modo in cui l'industria tessile opera da centinaia di anni, ma possiamo cambiare noi stessi, adattando l'infrastruttura esistente alla tecnologia e affrontando i composti dei tessuti”, ha spiegato Huang.
La difficoltà nel riciclo dei tessuti
La sua start-up Phoenxt lavora per rendere green e sostenibile la moda, sviluppando processi chimici innovativi che trasformano vecchi indumenti in nuovi e bellissimi tessuti. Il problema principale però, anche con le nuove tecnologie, è che non è possibile riciclare la maggior parte dei tessuti con i metodi attuali, il che significa che milioni di tonnellate di vestiti buttati via ogni anno finiscono in discarica. La maggior parte di questi abiti di scarto è costituita da una miscela di fibre, in genere poliestere e cotone, che i riciclatori di tessuti non sono riusciti a recuperare nel modo corretto: al momento non è possibile riutilizzare una fibra senza danneggiare l’altra.
La sfida per la start-up Phoenxt
Alcuni stilisti producono abiti alla moda “riciclati”, ma il loro impatto è ancora molto limitato rispetto all'enorme quantità di rifiuti della moda. Molti vecchi tessuti venivano trasformati in materiale per prodotti come l'isolamento delle pareti, l'imbottitura o gli stracci. “In questo modo abbiamo quello che gli inglesi definiscono un downcycling, non un riciclo”, prosegue Huang. “Se consideriamo l'enorme quantità di rifiuti tessili annui, come si può cambiare la situazione se non si dispone di un processo sistematico per trasformarli nuovamente in materie prime?”
Questa la sfida di Huang, che ha creato una squadra di ingegneri chimici e scienziati dei polimeri con cui ha fondato Phoenxt nel 2019. La start-up ha sviluppato in poco tempo un processo di riciclo chimico in grado di separare le fibre e riciclarle nuovamente in nuove fonti di fibre, mantenendo intatta la qualità del materiale. Grazie a questa tecnologia, i vecchi indumenti vengono scomposti e vengono ricreati nuovi filati, trasformando i rifiuti tessili di nessun valore in fibre riciclate grezze, che vengono vendute sul mercato a circa tre dollari al kg. Phoenxt è ora nella fase pilota e sta collaborando con una fabbrica in Cina per una piccola produzione di 8 kg al giorno, ma ha pianificato l’apertura di un impianto che potrà trattare due tonnellate di materiali entro la fine dell’anno. E sarà solo il primo passo, perché “vogliamo arrivare a 150.000 tonnellate all'anno per impianto, quando apriremo nuovi stabilimenti in altri Paesi”, conclude Huang.