La profonda impronta ambientale del settore immobiliare rappresenta un ostacolo verso il traguardo delle zero emissioni a livello globale.
Il settore rappresenta circa il 40% delle emissioni globali di carbonio ed è anche responsabile di numerosi altri problemi ecologici, tra i quali l’eccessivo consumo di acqua ed energia e la generazione di materiali di scarto.
Passare a un modello operativo più green non sarà facile. Ma ci sono motivi di ottimismo, come ha ampiamente dimostrato il recente Klosters Forum (TKF), una conferenza dedicata al settore immobiliare sostenibile, della quale Pictet Group è partner.
All’incontro, tenutosi sullealpi svizzere, investitori, architetti, imprenditori e accademici si sono riuniti per mettere in discussione le pratiche consolidate del settore edile e definire un piano per il cambiamento. Al centro dei loro interventi, la spiegazione di come le nuove tecnologie, tecniche di costruzione e investimenti potrebbero portare a una trasformazione sostenibile.
Costruisci, distruggi. Ripeti?
Ciò che è stato immediatamente chiaro è la portata dell'impatto dell'industria sul mondo naturale.
È infatti evidente che le tecniche di costruzione tradizionali non sono più praticabili: causano danni irreparabili all’ambiente, danneggiando il territorio, le risorse idriche e la biodiversità.
I partecipanti si sono anche chiesti se sia davvero necessario costruire nuovi edifici.
Le fasi di produzione di nuovi materiali e costruzione di un edificio, infatti, sono quelle più gravose dal punto di vista ambientale, poiché rappresentano fino al 90% delle emissioni generate lungo l’intero ciclo di vita di un immobile. Molto più contenute, infatti, sono le emissioni prodotte nelle fasi di uso e smaltimento.
I partecipanti hanno suggerito che le economie sviluppate, che hanno già un patrimonio edilizio sufficiente, dovrebbero preferire l’ammodernamento e la ristrutturazione alle costruzioni ex novo.
La conversione da ufficio in case
Un modo intelligente per ristrutturare è convertire gli spazi pensati per il lavoro in immobili residenziali, sviluppando quartieri adattabili e ad uso misto.
Tre anni dopo la pandemia, alcuni uffici sono ancora vuoti poiché i cambiamenti causati dal COVID 19 – minore presenza in ufficio, allontanamento dalle città e meno acquisti nei quartieri ad alta densità di uffici – si sono rivelati persistenti. Allo stesso tempo, scarseggia l’offerta di alloggi residenziali, soprattutto a prezzi accessibili situati in zone centrali.
La società di consulenza McKinsey prevede che, nel 2030, la domanda di spazi per uffici potrebbe diminuire (nello scenario più severo) fino al 38% rispetto al 2019; il calo della domanda ridurrà il valore degli immobili. Nello scenario moderato, nelle nove città prese in esame, entro il 2030 la posta in gioco in termini reali ammonterebbe a 800 miliardi di dollari.
Ecco perché la conversione da ufficio a residenza è un’ipotesi sensata.
Nel corso del Forum, la società immobiliare JLL ha spiegato perché circa 23 milioni di metri quadrati di spazi per uffici vacanti nelle 35 principali città europee potrebbero essere convertiti per fornire 500.000 nuove case. Applicando gli attuali valori di mercato, sarebbe così possibile liberare 100 miliardi di euro in opportunità d’investimento nei dieci centri principali.
Queste opportunità sono più limitate negli Stati Uniti, dove i grandi grattacieli cittadini sono ampi e mancano di luce, rispetto agli edifici per uffici europei che tendono a essere più bassi e stretti, garantendo la luce naturale necessaria per una conversione ad uso residenziale. Nella sola Londra, dove si prevede che la domanda di affitti supererà l’offerta di oltre 100.000 case nel prossimo decennio, gli attuali spazi sfitti - stima JLL - potrebbero fornire 43.000 appartamenti, corrispondenti a 21 miliardi di euro in opportunità di investimento.
Tali progetti, però, finora hanno faticato ad attrarre capitali. Gli investitori immobiliari sono riluttanti ad acquistare edifici ibridi a causa delle complicazioni legate alla valutazione di un immobile ad uso misto.
Fortunatamente, col tempo, il quadro dovrebbe diventare più semplice, come affermato nel corso del TKF. In regioni come l’Europa centrale, le autorità locali stanno promuovendo sempre più il concetto della “città dei 15 minuti”, dove la maggior parte delle necessità e dei servizi quotidiani sono facilmente accessibili all’interno di un quartiere.
Costruisci smart
Oltre all’ammodernamento, il settore edile sta anche cercando di ridurre la propria impronta di carbonio adottando tecnologie di costruzione intelligenti e materiali innovativi e rigenerativi.
Il legno ha visto la sua popolarità crescere negli ultimi anni, grazie a nuove tecnologie ingegneristiche come il legno a strati incrociati (CLT). Promettenti sono anche le soluzioni che mescolare il legno con altri materiali naturali, come la terra, per migliorare le prestazioni complessive senza fare affidamento sul cemento.
Una società che sta già utilizzando questa tecnologia è Rematter, con sede in Svizzera. La platea del TKF ha potuto conoscere come l'azienda utilizza la robotica “hig-tech” per realizzare solai partendo da materiali “low tech”, come le travi in legno e terra autoportanti. I suoi solai ibridi sono durevoli, fonoisolanti e resistenti al fuoco come il cemento, ma emettono l’80% di carbonio in meno.
In passato, le strutture in terra tendevano ad essere costose poiché dovevano essere costruite manualmente. Ma l’azienda ha spiegato come ha reso il processo competitivo in termini di costi, combinando la progettazione smart del prodotto con la robotica per prefabbricare i solai in legno e terra in un ambiente controllato. In aggiunta, acquista i materiali localmente, riducendo i costi di trasporto e l'impatto ambientale.
"Anche in Svizzera la terra come materia prima è molto conveniente e spesso può essere ricavata dal materiale di scavo", afferma Götz Hilber, cofondatore di Rematter.
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Costruire città più vivibili e sostenibili
Anche la rapida urbanizzazione ha avuto un posto di rilievo nei dibattiti del TKF.
In tutto il mondo, le città si stanno espandendo rapidamente. Entro il 2030, stima la World Bank, incorporeranno circa 1,2 milioni di chilometri quadrati di nuove aree urbane. Una crescita incontrollata di queste dimensioni esercita pressione sul territorio e sulle risorse naturali, aumentando l’esposizione ai cambiamenti climatici e ai rischi di catastrofi.
Dal Forum è quindi è emerso che, per superare tali sfide, sono necessarie nuove soluzioni e una migliore cooperazione tra urbanisti, governi e investitori.
Gli edifici urbani del futuro devono offrire spazi flessibili per lavorare, vivere e giocare, ma devono avere un basso impatto ambientale. Sfruttando le tecnologie e i materiali edili intelligenti già disponibili, questa visione può diventare realtà.