Il mese di marzo si è concluso con buone performance sui mercati azionari, sigillando un primo trimestre eccezionale per le borse globali, con guadagni oltre il 10% negli Stati Uniti e in Europa e oltre 20% in Giappone. L'obbligazionario, invece, ha mostrato segni di recupero a marzo, dopo la correzione dei primi due mesi, ma ha ceduto poi nuovamente terreno nel corso di marzo, soprattutto negli USA dove i dati macro restano forti con i Non Farm Payroll, che confermano la tenuta occupazionale. I rendimenti del decennale americano si attestano al 4.4% e sono ai massimi da inizio anno.
In sintesi, marzo ha confermato lo schema dei primi due mesi: i mercati azionari sono stati sostenuti da fondamentali forti, soprattutto negli USA, dove la crescita attesa per il 2024 è stata rivista all'insù, al 2.2% rispetto all’1.3% atteso a fine 2023 mentre le obbligazioni hanno corretto per le stesse ragioni macroeconomiche e per il conseguente ridimensionamento dell'accomodamento atteso per le Banche Centrali, senza contagiare le asset class rischiose.
In sostanza, le informazioni macroeconomiche giunte a marzo confermano che il processo disinflattivo è in corso, seppur meno virtuoso rispetto alla fase finale del 2023; questo ha portato al ridimensionamento dell'accomodamento atteso per quest'anno, ma non ha invalidato la nostra attesa e quella del mercato per l'avvio del ciclo dei tagli sia dalla FED che dalla BCE per giugno, seppur negli USA qualche dubbio in più sarebbe lecito sulla necessità di tagliare vista la forza dell'economia. Nell'incontro del 20 marzo, tuttavia, la FED ha confermato i tre tagli attesi per il 2024, come nelle previsioni di dicembre, mentre Powell nella conferenza stampa ha descritto come accettabile il percorso meno lineare del rientro dell'inflazione. Il mercato oggi si è allineato alle previsioni della FED sui FED fund; per la BCE, seppur le condizioni sembrerebbero a nostro avviso già sufficienti per un taglio alla riunione di aprile, sembra evidente la loro volontà di attendere giugno.
Nonostante i dati sulla crescita confermino la stagnazione di fine 2023, le attese dei tagli anche in Eurozona sono state ridimensionate rispetto a gennaio a meno di quattro attuali. La revisione dell'entità dei tagli per il 2024 non è del tutto sorprendente, non solo per la resilienza dei dati americani, ma anche perché il mercato a inizio anno partiva con attese che ritenevamo euforiche, quando si aspettava addirittura tra i sei e i sette tagli in America. Il progresso meno incoraggiante dell'inflazione USA negli ultimi dati è riconducibile a una certa vischiosità nelle componenti dei servizi; nel frattempo si teme che l'effetto disinflazionistico della componente dei beni, realizzata grazie al rientro delle problematiche legate all'offerta, possa iniziare a essere meno significativo, anche solo per questione di effetti base.
La componente dei servizi è legata agli equilibri del mercato del lavoro: per capirne il progresso guardiamo ai posti disponibili per disoccupato, un indicatore sul bilanciamento tra domanda e offerta di lavoro. La buona notizia e che gli ultimi dati pubblicati ne confermano la discesa, anticipando un rientro delle pressioni della domanda di lavoro. Anche l'andamento della crescita dei salari orari, in discesa verso il 4.1% si conferma in calo; è importante sottolineare il buon andamento di questi indicatori ai fini di una ragionevole attesa di rientro delle pressioni sui prezzi del settore dei servizi, soprattutto a fronte di una crescita degli occupati ancora piuttosto tonica.
Sembra, in questo senso, esserci in atto un virtuoso aggiustamento degli equilibri del mercato del lavoro: ciò sarebbe riconducibile all'effetto dell'immigrazione, che è cresciuta significativamente oltre i livelli pre-pandemici negli ultimi due anni. L'entrata nella forza lavoro di più immigrati spiegherebbe così l'aumento di nuovi occupati, mantenendo stabile la disoccupazione senza eccessive pressioni salariali.
Cosa aspettarci dunque nelle prossime settimane? Alla luce dell'aggressivo repricing sull'entità dei tagli attesi per il 2024, il rischio sui tassi a breve termine entro due anni è rientrato, ma la vivacità dell'economia americana scoraggia l'attesa di tagli più aggressivi. Per le parti lunghe, in assenza di segnali di rallentamento economico, difficilmente è lecito attendersi grosse sorprese positive, se non piccoli cali nei rendimenti: verso il 4% per il treasury americano e 2.25 per il bund, in caso di segnali incoraggianti sul fronte inflazione. Il pericolo più serio per la parte a medio-lungo termine della curva dei rendimenti è il rumore attorno al livello di R-Star, ovvero il tasso di equilibrio naturale che si collega al punto di arrivo terminale. Questi dubbi sugli equilibri, e quindi i tassi di lungo periodo, continuano a giustificare una volatilità storicamente elevata nei tassi a lunga scadenza.
Per l'azionario, invece, è più verosimile immaginarsi un po’ di rotazione settoriale, dalla tecnologia al resto degli indici e forse sull’healthcare; entriamo nel mese della stagione degli utili che potrebbe tenere i mercati in un trading range, in attesa di indicazioni sulle prospettive degli utili societari. Nel contempo, oro e dollaro americano rimangono dei validi alleati per navigare questa fase, grazie alla diversificazione che possono offrire, anche a fronte della componente geopolitica sempre complicata da anticipare.