I tagli fiscali alle aziende, le promesse di dazi e di una maggiore deregulation sono gradite ai mercati americani. Wall Street ha accolto con favore la vittoria di Donald Trump alle elezioni presidenziali negli Stati Uniti. D’altro canto, con l’arrivo del nuovo inquilino della Casa Bianca, a soffrire potrebbero essere i listini europei, che dopo l’esito elettorale hanno virato in negativo, per poi riprendersi.
Trump si insedierà alla Casa Bianca a gennaio 2025, avviando la sua amministrazione in un contesto economico solido, in forte crescita, con un basso livello di disoccupazione e un’inflazione che sta raggiungendo l’obiettivo del 2% posto dalla Federal Reserve.
Ma stando al programma elettorale, la vittoria del candidato repubblicano porterà con sé molto probabilmente numerosi cambiamenti sul fronte dell’economia statunitense, che avranno risvolti importanti anche a livello internazionale e in Europa.
L’introduzione di dazi e il commercio internazionale
«La parola “dazio” è molto bella. Una parola che renderà di nuovo ricco il nostro Paese», ha detto Trump in un’intervista a Fox News. Quello che preoccupa di più il commercio internazionale, appunto, sono le promesse sull’introduzione di dazi. Durante la campagna elettorale, il neopresidente eletto ha promesso che avrebbe introdotto sulle importazioni tariffe tra il 10 e il 20%, con l’obiettivo di difendere le industrie nazionali, riportare posti di lavoro negli Stati Uniti e aumentare le entrate statali. Trump ha parlato addirittura di dazi al 60% sui prodotti cinesi e del 200% sulle auto prodotte in Messico.
A essere preoccupata è soprattutto l’Europa, che è un continente esportatore, con due delle principali economie continentali – Germania e Italia – votate all’export.
Queste politiche, se applicate, avranno quindi sicuramente un impatto significativo sul commercio internazionale, ma potrebbero colpire anche le aziende e i consumatori statunitensi. Secondo l’organizzazione no profit Tax Foundation, i dazi potrebbero far aumentare le imposte societarie di 524 miliardi di dollari l’anno, contrarre il PIL dello 0,8% e l’occupazione di quasi 700mila posti di lavoro.
I tagli fiscali per le aziende
Trump ha chiesto di abbassare l’aliquota dell’imposta sulle società al 15% per alcune aziende e ha lasciato intendere l’intenzione di porre fine alla tassazione delle mance. Inoltre, vuole estendere parti di una legge del 2017 approvata durante il suo primo mandato, in particolare i tagli alle imposte sul reddito e sulle proprietà, che scadranno alla fine del prossimo anno. Ma questa misura dovrà passare prima al vaglio del Congresso.
L’organismo indipendente Committee for a Responsible Federal Budget stima che l’agenda economica di Trump, nello scenario peggiore, potrebbe far aumentare il debito pubblico fino a 15mila miliardi di dollari in un decennio, con un deficit del 12% nel 2035.
Inflazione
Il rischio è che le politiche di Trump avranno un potenziale impatto inflazionistico negli Stati Uniti e in Europa, tanto che molti pensano che la FED dovrà rallentare il percorso di taglio dei tassi di interesse. I dazi, infatti, hanno l’effetto di aumentare i prezzi. E l’effetto al rialzo potrebbe essere spinto anche dal possibile apprezzamento del dollaro sull’euro. Poiché la politica fiscale di Trump farebbe salire il deficit e il già alto debito americano, tenendo elevati i rendimenti dei titoli di Stato americani, il dollaro potrebbe continuare a rafforzarsi per effetto dei flussi di capitali. Un rafforzamento del dollaro significherebbe quindi pagare di più per petrolio e materie prime, facendo crescere l’inflazione importata in Europa.
I tagli all’immigrazione clandestina
Il prossimo inquilino della Casa Bianca ha più volte annunciato il pugno duro sull’immigrazione irregolare. Secondo gli economisti del Peterson Institute for International Economics, però, l’effetto combinato di innalzamento dei dazi, innalzamento dell’inflazione, espulsione di lavoratori clandestini e maggiore controllo sulla politica della FED taglierebbe la produzione economica degli Stati Uniti tra il 2,8% e il 9,7% entro la fine del suo mandato nel 2028. La mancanza di manodopera in settori come l’edilizia e la ristorazione, infatti, avrebbe come conseguenza anche l’innalzamento del costo del lavoro.
Il ruolo della FED
Secondo molti analisti, la Federal Reserve nei prossimi quattro anni avrà un ruolo cruciale nel tenere sotto controllo il costo del denaro. Trump non ha fatto mistero di voler avere maggiore voce in capitolo in materia di tassi d’interesse, criticando più volte le scelte di politica monetaria della FED.
Il presidente della FED Jerome Powell ha assicurato che da parte sua non c’è al momento alcuna intenzione di rassegnare le dimissioni, anche se la richiesta dovesse arrivare dal neopresidente.