Come sappiamo ormai da tempo, è impossibile scindere politica ed economia. Soprattutto se stiamo parlando della prima potenza al mondo e ogni decisione influenza la vita e il futuro di centinaia di milioni di persone. A pochi giorni dalle elezioni americane, che vedono opporre la Democratica Kamala Harris al Repubblicano Donald Trump, analizziamo le proposte economiche per capire in che modo potrebbero influenzare il voto.
L’attenzione dei Democratici per il ceto medio
Il partito del Presidente Biden, sostituito in queste elezioni dalla vice Kamala Harris, punta su politiche fiscali progressiste, mantenendo un occhio di riguardo per la spesa pubblica. Continua a supportare il Green Deal a vantaggio della transizione ecologica, con un potenziamento degli investimenti nelle energie rinnovabili, e promette di mettere mano ai debiti nel settore della sanità. Per contro, l’aumento delle imposte per le aziende e per gli individui con i redditi più corposi potrebbe portare a maggiori perplessità nel mondo della finanza e dell’energia più tradizionale, a partire dall’industria petrolifera.
Insomma, assistiamo a una proposta basata sulle necessità del ceto medio americano, che Harris stessa ha definito “economia delle opportunità”. Anche il problema abitativo di milioni di americani e i continui rialzi dei costi alimentari sono nel mirino dei democratici.
Lo sguardo dei Repubblicani verso banche, petrolio e settore della difesa
Donald Trump si è smarcato, come da tradizione, dall’impegno per un’energia sostenibile, proponendo di fare ripartire le trivellazioni con conseguente apprezzamento da parte dell’industria petrolifera. Altro cavallo di battaglia di Trump è il taglio delle tasse e la deregulation, così da dare nuovo impulso alla crescita alle aziende a stelle e strisce. Importanti anche gli investimenti promessi nel settore della difesa, per fare fronte alla sempre crescente incertezza geopolitica a livello globale. La politica fiscale più espansiva, inoltre, gioverebbe al sistema finanziario statunitense grazie anche a un probabile rafforzamento del dollaro.
Le scelte protezionistiche di Trump potrebbero però portare a nuove tensioni commerciali, una sorta di remake di quanto già successo con Cina ed Unione Europea durante il suo primo mandato. L’effetto atteso da questa strategia sarebbe un aumento della volatilità globale, con particolari impatti sullo sviluppo dei Paesi emergenti.
Le mosse della Federal Reserve in attesa del voto
A metà settembre, il taglio dei 50 punti base dei tassi della FED ha stupito alcuni analisti, che si aspettavano un ribasso minore, ma è servito per comunicare a tutto il mondo la volontà di sostenere la crescita moderata con bassa inflazione. Un modo per aiutare i mercati, soprattutto nel breve termine. Se guardiamo al rapporto tra la Banca Centrale e il futuro Presidente, nonostante la Federal Reserve sia indipendente, ci possono essere dei modi per influenzarne l’operato, ad esempio attraverso le nomine del consiglio di amministrazione. Trump sarebbe di sicuro concorde nell’abbassare i tassi di interesse, in modo da avere una politica ultra espansiva anche a rischio di fare rialzare la testa all’inflazione. Harris invece dovrebbe esporsi per una politica fiscale più equilibrata per mantenere sotto controllo l’inflazione, con conseguente limitazione della volatilità sui mercati finanziari.
Siamo per ovvi motivi ancora nel campo delle ipotesi, ma ancora pochi giorni e scopriremo che direzione prenderanno gli Stati Uniti.