I mercati emergenti, o Paesi emergenti, sono quelle economie in fase di sviluppo con un buon potenziale di crescita ancora da sprigionare interamente. Per gli investitori, questi mercati rappresentano buone possibilità di guadagno, ma al tempo stesso hanno alti rischi a causa di instabilità politica, processi non sempre del tutto democratici e alta volatilità.
Quali sono i mercati emergenti e che caratteristiche hanno
Tra gli elementi fondamentali che gli analisti monitorano per definire i Paesi emergenti, troviamo:
- la spinta all’urbanizzazione e all’industrializzazione,
- il trend in calo del tasso di povertà,
- il miglioramento delle esportazioni,
- la creazione di maggiore domanda interna,
Tutte queste caratteristiche dimostrano, infatti, buone possibilità di crescita economica e sociale. E se si innesca questo circolo virtuoso, aumentano anche gli investimenti esteri, che trainano il reddito pro capite e le esportazioni e supportano l’ingresso stabile nell’ecosistema finanziario internazionale.
Se ci affidiamo alla definizione del Fondo Monetario Internazionale (FMI), troviamo 25 Paesi emergenti: Arabia Saudita, Brasile, Cile, Cina, Colombia, Corea del Sud, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Filippine, Grecia, India, Indonesia, Kuwait, Malesia, Messico, Perù, Polonia, Qatar, Repubblica Ceca, Russia, Sudafrica, Taiwan, Thailandia, Turchia e Ungheria.
Le prospettive in chiaroscuro della Banca Mondiale
A gennaio la Banca Mondiale ha divulgato il report “Global Economic Prospects” in cui fa notare che “la crescita globale sta rallentando bruscamente di fronte all’inflazione elevata, ai tassi di interesse più elevati, alla riduzione degli investimenti e alle interruzioni causate dall’invasione russa dell’Ucraina”.
Le previsioni di crescita per l’economia mondiale sono “dell’1,7% nel 2023 e del 2,7% nel 2024”, spiega il report, che poi si focalizza sulle prospettive dei mercati emergenti: “il forte rallentamento della crescita dovrebbe essere diffuso, con previsioni nel 2023 riviste al ribasso per il 95% delle economie avanzate e quasi il 70% dei mercati emergenti e delle economie in via di sviluppo. Nei prossimi due anni, si prevede che la crescita del reddito pro capite nei mercati emergenti e nelle economie in via di sviluppo raggiungerà una media del 2,8%, un intero punto percentuale inferiore alla media del periodo 2010-2019”.
Insomma, i mercati emergenti cresceranno di più dei Paesi avanzati, ma meno di quanto visto nell’ultimo decennio. E le cause sono diverse: minori investimenti determinati a loro volta dal rallentamento delle economie più sviluppate, crescenti interessi sul debito pubblico, tassi di interesse in aumento, maggiore incertezza sul medio-lungo periodo a livello geopolitico e a livello climatico.
Il ruolo della Cina
Sappiamo tutti che la Cina, pur rientrando nella definizione di Paesi emergenti, non può essere considerata come gli altri. Anzi, in molti casi fa da locomotiva per tutti, cercando di portarli fuori dalla sfera di influenza occidentale con accordi politici ed economici per lo sviluppo.
Uno dei principali aspetti di questi accordi riguardano la “de-dollarizzazione” di Paesi come l’Arabia Saudita, l’India e il Brasile, tanto che la New Development Bank fondata nel 2015 ha l’obiettivo, tra gli altri, di rendere i BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) sempre più indipendenti dal biglietto verde. Uno degli accordi più recenti, infatti, prevede che tra il 2022 e il 2026 i prestiti per lo sviluppo dei Paesi emergenti vengano effettuati in valute locali, proprio per iniziare a percorrere la strada di un progressivo distacco dal dollaro. Anche se non sarà semplice.