Investimenti: le differenze tra rischio idiosincratico ed esogeno

Guida alla finanza
Ci sono diverse tipologie di rischio nel mondo finanziario, oggi ci occupiamo di due rischi che possono colpire i nostri asset. Grazie alla diversificazione del portafoglio li possiamo limitare, soprattutto il primo.

Lo abbiamo già scritto moltissime volte, ma è sempre bene ripeterlo: quando si investe nei mercati finanziari c’è sempre una componente di rischio, che può essere prossima allo zero oppure più elevata e che, nel caso per esempio dei Titoli di Stato, viene compensata dal rendimento atteso.

I Titoli di Stato elvetici a 10 anni prevedono un rendimento inferiore all’1% proprio perché la Svizzera è considerata un’economia solidissima e quindi comprare i loro bond è una scelta a bassissimo rischio. Ma se prendiamo i Titoli di Stato russi a 10 anni, invece, notiamo che promettono oltre il 12% di rendimento proprio perché Mosca è considerata ad alto rischio per via delle sanzioni internazionali seguite all’invasione dell’Ucraina. Questi due esempi ci mostrano il rischio generale, ma i rischi che si possono incontrare nel mondo finanziario sono diversi. Approfondiamo oggi la differenza tra rischio idiosincratico ed esogeno.

Il rischio idiosincratico e la ricetta per limitarlo

Questo primo rischio, chiamato anche rischio specifico, è collegato all’andamento dell’azienda che ha emesso il titolo e non è correlato al movimento dei mercati o del settore in cui opera l’azienda in questione. Detto in un altro modo, il rischio idiosincratico è legato alla strategia dell’azienda, al suo bilancio e al rapporto che ha con la concorrenza. Se per esempio l’azienda perde il suo principale cliente, oppure viene colpita da uno scandalo di immagine, aumenta il rischio idiosincratico. Allo stesso modo, anche le previsioni negative degli analisti o risultati sotto le aspettative per l’azienda si riferiscono al rischio idiosincratico.

La buona notizia è che basta applicare la regola aurea della diversificazione per abbattere questo rischio: se io ho nel mio portafoglio solo tre titoli, il rischio idiosincratico è alto perché, semplificando all’estremo, basterebbe il fallimento di due aziende su tre per farmi perdere i due terzi del patrimonio che ho investito. Se però nel mio portafoglio sono presenti 30 titoli, oppure se ho investito in fondi che accorpano diverse società, il mio rischio idiosincratico sarà molto più basso. È infatti altamente improbabile che falliscano in contemporanea 30 aziende o Paesi per questioni al loro interno.

Un esempio di crisi idiosincratica è il fallimento di Lehman Brothers del 2008, che ha aperto gli occhi del mondo sulla crisi dei mutui subprime: Lehman Brothers è fallita a causa di diversi fattori, tra cui l'esposizione a mutui subprime e altri titoli ad alto rischio, quindi per una errata strategia del management.

Il rischio esogeno e gli impatti su tutti i mercati

Come si può facilmente capire dal nome, il rischio esogeno deriva da elementi esterni agli asset che possiamo acquistare, che possono estendere il contagio a tutto il settore di riferimento, all’intero mercato o addirittura all’economia globale. Detto anche rischio sistematico si riferisce a eventi di tale importanza e impatto su tutti i titoli, che sovrasta anche il rischio idiosincratico.

Questi avvenimenti così rilevanti possono essere crisi economiche o periodi recessivi che colpiscono Stati o intere aree geografiche, guerre, pandemie, tsunami, esplosione di bolle speculative o crolli improvvisi dei mercati azionari. Anche una non corretta gestione della politica monetaria di una banca centrale può portare a un rischio definito esogeno, come per esempio una comunicazione sbagliata di aumenti o tagli dei tassi di interesse. La regola della diversificazione vale anche in questo caso, ma può essere meno efficace rispetto al rischio idiosincratico.

Per trovare un esempio di crisi esogena non dobbiamo andare molto indietro nel tempo, perché la pandemia scatenata dal COVID-19 ha bloccato moltissime attività economiche in tutto il mondo, scatenando la recessione in diversi Paesi, a prescindere dalla loro area geografica, dal PIL e dalla struttura della loro economia.

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