Gli incendi che divampano, divorando migliaia di ettari di aree verdi, sono diventati una consuetudine. Le fiamme hanno colpito Nord America, Mediterraneo, Australia e persino la Siberia. Spesso è colpa di disattenzione o dolo, ma ci sono ormai pochi dubbi che anche i cambiamenti climatici giochino un ruolo fondamentale nella frequenza degli incendi e nella loro capacità di propagazione. Ma per quale motivo?
La relazione tra cambiamento climatico e fiamme
Il riscaldamento è solo uno dei fattori in campo. Non tutto, infatti, dipende dalle temperature elevate. Il punto è che, come ha spiegato Greenpeace nel report “Un paese che brucia”, il cambiamento climatico contribuisce a creare quel mix di caldo, vento e siccità che favorisce gli incendi. Le estati si prolungano, riducendo l'umidità della vegetazione, fiaccando le precipitazioni e favorendo la combustione.
Condizioni come queste, se circoscritte a un periodo limitato, sono la norma. Quando si presentano con maggiore frequenza e con durata più ampia, invece, fanno da detonatore. In sintesi: verificandosi condizioni di rischio, assieme all'estate si prolunga la stagione degli incendi, rendendola oltretutto più severa.
Il numero in aumento degli incendi
Le condizioni che favoriscono gli incendi sono solo l'innesco di un circolo vizioso. Le fiamme, bruciando per settimane, producono quantità notevoli di CO2. E distruggono le foreste che, grazie alla capacità di assorbire carbonio e di rendere un ambiente più umido e fresco, sono un argine naturale agli incendi. In altre parole: i roghi estremi distruggono una delle barriere che potrebbe limitarli. E così, spiega il WWF, “la frequenza, l’estensione e l’intensità degli incendi sono aumentati enormemente nell’ultimo secolo”. L'incremento è stato del 15% negli ultimi 50 anni.
Se le aree verdi sono un rischio
Creare nuove aree verdi per compensare quelle perse è solo parte della soluzione. Serve infatti prendersene cura. Greenpeace sottolinea come l'Italia, per fortuna, non stia affrontando un periodo di depauperamento: “La superficie boscata ha ormai superato gli undici milioni di ettari ed è in costante aumento. Dal 1990 a oggi, i boschi hanno guadagnato oltre un milione di ettari, in media 800 metri quadrati di nuove foreste al minuto, con un contemporaneo miglioramento strutturale dei boschi esistenti. E nel 2018, dopo due secoli, la superficie forestale nazionale ha superato quella agraria”. È di certo una buona notizia. Ma, associata al cambiamento climatico, può trasformarsi in un rischio: “Mista all’abbandono della gestione di aree montane e di aree agricole, ha generato grandi continuità di vegetazione, e quindi di 'combustibile', prima causa dei grandi incendi, che in ambiente mediterranei è spesso composto da specie altamente infiammabili come pinete e zone di macchia mediterranea”.