Arabia Saudita
Tra i cinque Paesi emergenti che abbiamo scelto, è l’unico a non fare parte dei “Brics” o dei “Next Eleven”. Un Paese ricco e di importanza strategica nel golfo. Ma ciò che lo rende particolarmente appetibile è la sua Borsa, fino a lunedì scorso inaccessibile agli investitori stranieri. Poi, la svolta. La più grande piazza finanziaria del mondo arabo, forte dei suo 560 miliardi di dollari di capitalizzazione, è aperta a tutte le banche estere, i fondi di investimento, le compagnie assicurative e i broker del mondo. Forse un po’ cara, ma di sicuro è un’importante fonte di diversificazione in un momento di incertezza di altri emergenti.
Egitto
Dopo la Primavera Araba e parecchi mesi di paralisi, ora il Presidente Al-Sisi sembra aver riportato l’Egitto sulla via della prosperità. Il Cairo ha avviato un ambizioso piano di investimenti infrastrutturali per rimodernare il Paese, dando nuovo slancio all’economia. Parecchie società di caratura mondiale hanno deciso di aumentare i propri investimenti sul suolo egiziano, a partire da General Electric. Inoltre, come ha detto Al-Sisi, l’Italia è il primo partner economico dell’Egitto e le molte aziende tricolori che hanno deciso di credere nel programma di rilancio parteciperanno a gare d’appalto per 2,5 miliardi di dollari, che diventeranno 8 se contiamo anche il canale di Suez.
India
Tra i 5 Paesi scelti, l’India è sicuramente il più ricco: ha un PIL di poco inferiore a quello italiano e il governo di Narendra Modi ha stimato che nell’ultimo trimestre dello scorso anno è cresciuto del 7,5%, meglio anche del 7,3% cinese. Le scelte di snellire la burocrazia e spingere sul “Make in India” di Modi ha l’obiettivo di creare un vero e proprio hub mondiale dell’industria, sfruttando il rallentamento della Cina e l’innalzamento dei salari a Pechino. Inoltre, ciò che ha registrato particolare apprezzamento da parte degli investitori sono i fondi passivi indiani, che nei mesi passati hanno ottenuto performance notevoli.
Indonesia
Il rallentamento c’è stato, ma si parla comunque di un PIL cresciuto del 5% lo scorso anno e del 4,7% nel primo trimestre del 2015. Dopo il boom degli ultimi anni sul mercato finanziario locale è tornata un po’ di calma. Ma il legame con il mondo musulmano e, di conseguenza, con Paesi particolarmente ricchi, è forte. Non è un caso se il sultanato dell’Oman si è impegnato a investire 7 miliardi di dollari nel settore petrolifero indonesiano. Si tratta pur sempre il quarto Stato più popoloso al mondo, che controlla ingenti risorse naturali.
Turchia
È il secondo Paese emergente per investimenti infrastrutturali dietro al Brasile, secondo la classifica stilata dalla Banca Mondiale, che comprende 139 Nazioni. Eppure, la situazione attuale è in chiaroscuro: ci sono alcune sacche di instabilità politica dopo l’ultimo voto e la sicurezza degli investitori è stata minata da questo. Ma un Paese che tra il 2003 e il 2014 passa da 305 a oltre 800 miliardi di dollari di PIL, con una crescita del 2,3% nel primo trimestre 2015 non può certo essere a rischio bancarotta. Il continuo deprezzamento della lira turca può prospettare situazioni di investimento molto interessanti, soprattutto sul fronte obbligazionario, anche se il rischio volatilità esiste.