Il settore alimentare, dalla coltivazione alla distribuzione, è responsabile di un terzo delle emissioni di gas serra prodotte dall'uomo. Questo dato, frutto di uno studio pubblicato su Nature Food e ripreso dalla FAO (Food and Agriculture Organization), conferma quanto le abitudini di consumo possano incidere sul pianeta, per quanto riguarda non solo la sostenibilità ambientale, ma anche economica.
Quali sono i cibi meno sostenibili
Ma, prima di tutto, cosa si intende per cibo non sostenibile? L'industria alimentare tocca vari aspetti: consumo di suolo, emissioni originate dai processi produttivi, imballaggi. Ci sono poi temi di natura etica (come il benessere degli animali e le ripercussioni sociali delle colture), energetici e logistici. Dal punto di vista ambientale, quindi, non sono sostenibili i cibi che richiedono profonde trasformazioni della materia prima e lunghi spostamenti, i prodotti che esigono un ampio consumo di risorse e i processi che non rispettano gli ecosistemi.
Tenendo presente questi parametri, lo European Data Journalism Network ha messo insieme diverse fonti per valutare l'impatto complessivo dei singoli cibi. Produrre un chilo di carne bovina comporta l'emissione di 59,6 kg di CO2 equivalente, un chilo di carne ovina 24,5 kg e uno di formaggio 21,2 kg. Producono grandi quantità di emissioni anche il cioccolato (perché richiede un notevole consumo di suolo, a scapito di foreste o aree non coltivate), il caffè (dispendioso sia durante la produzione che in termini di packaging) e i gamberi. Seguono l'olio di palma (7,6 kg di CO2 equivalente per kg di prodotto), la carne suina (7,2 kg), il pollame (6,1 kg), il pesce d'allevamento (5,1 kg) e le uova (4,5 kg).
L'analisi conferma quindi che le carni – in particolare rosse – e i prodotti di origine animale sono meno sostenibili. Ecco perché in cima alle raccomandazioni alimentari del WWF c'è il passaggio a una dieta “prevalentemente vegetale”, evitando gli sprechi. Andrebbero poi evitati alimenti che subiscono lunghi trasporti (specie in aereo) e quelli prodotti in serre riscaldate con combustibili fossili. Non è sempre semplice verificare la provenienza dei prodotti e il modo in cui vengono coltivati, ma un buon modo per iniziare a essere sostenibili è acquistare prodotti di stagione.
Alimentazione e sostenibilità economica
L'insostenibilità ambientale è, spesso, anche economica. Ci sono infatti costi palesi che pesano sulle imprese e altri – meno visibili ma ancor più gravosi – che condizionano l'equilibrio di una società intera. Alla prima categoria appartengono senza dubbio i consumi energetici: utilizzare energia pulita e ridurre gli sprechi vuol dire spendere meno e avere maggiore equilibrio finanziario, ma vuol dire anche avere un minor impatto negativo sull’ambiente. Produrre in maniera sostenibile ed etica è, inoltre, un vantaggio competitivo: la sensibilità dei consumatori sta cambiando rapidamente e spinge verso un consumo più consapevole.
Ci sono poi gli enormi costi economico-sociali legati ai sistemi alimentari attuali. Deforestazione e consumo di suolo privano alcune popolazioni della propria fonte di sostentamento. La concentrazione del mercato e la concorrenza basata solo sul prezzo finale complicano le attività dei piccoli produttori.
Infine, le persone con una minore disponibilità economica, stanti i prezzi elevati di alcune categorie di prodotto, rischiano di dover ripiegare su un'alimentazione squilibrata, con il rischio di favorire l'insorgere di patologie che, a loro volta, fanno lievitare i costi sanitari a carico di famiglie e sistemi nazionali.
Cambiare dieta, quindi, comporta vantaggi anche a livello economico-finanziario. Ma non è semplice. È fondamentale il ruolo della formazione e dell'educazione alimentare, già nelle scuole. Buone pratiche agricole, incoraggiate dalle opportunità offerte dalla tecnologia, sono importanti per monitorare i consumi e ridurre gli sprechi di risorse idriche ed energia.
Anche l'ONU, per raggiungere gli obiettivi dell'Agenda 2030, si concentra sui risvolti economici della sostenibilità alimentare: punta a “raddoppiare la produttività agricola e il reddito dei produttori di piccola scala”, aumentare “gli investimenti in infrastrutture rurali e sviluppo tecnologico”, “eliminare le sovvenzioni alle esportazioni agricole” e “adottare misure per garantire il corretto funzionamento dei mercati delle materie prime alimentari e dei loro derivati”.