Il 13 novembre 2008, alla London School of Economics, si celebrava con solennità l'inaugurazione del nuovo anno accademico. L’agenda prevedeva lo speech di un illustre ospite d’onore, la Regina Elisabetta. Il protocollo prevedeva una serie di formalità cerimoniali, durante le quali ci si attendeva che la Regina formulasse domande di rito, dimostrasse interesse per l'attività accademica e rivolgesse congratulazioni all'istituto per gli obiettivi raggiunti e il ruolo di spicco assunto nel tempo nel panorama accademico internazionale. Qualcosa però cambiò quando la Regina, di fronte allo schermo che proiettava i dati finanziari di quell’anno, sollevò una domanda tagliente: "Come è possibile che nessuno abbia previsto questa terribile crisi?".
La sua osservazione andava ben oltre il tradizionale formalismo cerimoniale, riflettendo l'inquietudine e la preoccupazione condivisa da molti in quei giorni di incertezza. Era infatti da poco scoppiata la più grande crisi finanziaria della storia moderna, partita nel 2007 con lo scoppio della bolla dei mutui subprime americani e deflagrata nel settembre 2008 con il fallimento di una delle più grosse banche statunitensi: la Lehman Brothers.La responsabilità di rispondere a questa domanda inattesa ricadde sul professor Luis Garicano, ospite della cerimonia e direttore del dipartimento di management dell'Università, un economista spagnolo di riconosciuta competenza. Con evidente imbarazzo, Garicano cercò di spiegare la complessità della situazione economica, sottolineando come la crisi fosse stata sottovalutata da molti. Più importante, evidenziò come il problema non fu l’incuranza generale, ma il fatto che “ognuno faceva affidamento su qualcun altro e tutti pensavano di fare la cosa giusta”.
La domanda di sua maestà divenne a qualche ora di distanza la notizia di apertura delle principali testate inglesi, con il The Guardian che sottolineava come la risposta fosse dovuta a tutti i cittadini: chi altri doveva prevedere una crisi di tali dimensioni, se non gli economisti? Questa vicenda, ormai passata alla cronaca, spiega in larga parte il perché abbiamo deciso di realizzare la serie di podcast KRISIS. Il progetto nasce con l’intento di dare rilevanza all’aspetto più costruttivo che segue una fase di crisi, quello che si lega all’accettazione, al cambiamento e alla ripresa. Ma anche a indagare le cause che ne hanno portato allo scoppio inaspettato e corrosivo, per questioni di noncuranza, eccesiva fiducia, scarsa prevenzione o pigrizia nel muoversi d’anticipo rispetto a un rischio percepito come lontano.
Prevedere una crisi non è mai semplice, sebbene ex post possa sembrare lineare raccogliere le informazioni necessarie a dare prova che quell’evento si sarebbe potuto evitare. Questo accade perché, secondo la finanza comportamentale, l’essere umano tende a interpretare il presente e a prevedere il futuro facendo riferimento alle esperienze del passato, prendendo in considerazione le informazioni che soggettivamente sembrano avere più rilevanza o che confermano l’ipotesi più convincente in partenza (processo altrimenti noto come confirmation bias).L’attivazione di questo processo mentale inconscio avviene soprattutto quando l’argomento di discussione o analisi genera emozioni forti e mette in discussione abitudini e credenze consolidate nel tempo, questo vale per una pandemia, un attacco terroristico, o di fronte all’idea che il sistema creditizio degli Stati Uniti d’America, l’economia più forte al mondo, possa collassare.
La storia economica degli ultimi cinquant’anni fornisce molto materiale su come si possa passare in modo repentino da un momento di slancio a una caduta rovinosa, ma rivela anche la naturale predisposizione umana a proiettarsi oltre l’ostacolo. Ciò vale per coloro che durante una fase di crisi mondiale hanno lanciato alcune delle innovazioni più dirompenti della storia moderna: vale per il primo telefono cellulare di Motorola nel 1973 o per il primo iPhone del 2007. Ma anche per coloro che, analizzando l’evolvere dei fatti e basandosi sui fondamentali, non si sono fatti trascinare dall’effervescenza del mercato o dall’enorme criticità del momento: lo sanno bene la Amazon del 2000, focalizzata sulla sostenibilità del business, o la NVIDIA del 2001, che, in uno degli anni peggiori per semiconduttori e titoli tecnologici, ha gestito in modo impeccabile un mercato delle schede grafiche 3D estremamente competitivo, spiccando tra i best performer.Le crisi moderne rappresentano una svolta cruciale nella percezione economica, spingendo la comunità accademica a riconsiderare le fondamenta teoriche su cui si basa la disciplina economica. Osservare e studiare il recente passato con lucidità, liberandosi da preconcetti, diventa essenziale per comprendere un presente fatto di complessità e frammentazione geopolitica, deglobalizzazione e sfide di natura ambientale, sociale e finanziaria.
Nel nostro racconto, infatti, l’economia si mischia alla geopolitica, alla tecnologia, alla storia e alla transizione, ma soprattutto al fattore e all’ingegno umano, responsabile ultimo, con le sue scelte, della soluzione di ogni crisi, artefice di progresso e innovazione. “Crisi” etimologicamente deriva dal greco “κρίσις”, ovvero “scelta”, il fondamento razionale del processo valutativo capace di generare il cambiamento.
-
La crisi petrolifera del 1973
-
La bolla giapponese del 1991
-
La svalutazione della lira del 1992
-
Il crollo delle tigri asiatiche del 1997
-
La bolla delle dot-com del 2000
-
Il cigno nero del terrorismo del 2001
-
La crisi dei mutui subprime del 2007
-
La crisi dei debiti sovrani del 2011
-
Il crash del mercato cinese del 2015
-
Le crisi bancarie del 2016
-
La pandemia COVID-19 del 2020
-
La crisi inflattiva, il 2023 e le crisi del futuro