La decisione dell'MSCI di iniziare a inserire le A-shares cinesi, quotate sulle borse nazionali, nei suoi indici azionari dei mercati emergenti a partire dalla scorsa estate è stata epocale. Dopo una lunga attesa, uno dei principali mercati azionari al mondo è stato integrato nel sistema finanziario globale.
Ma la mossa molto attesa da parte del fornitore di indici ha anche lasciato gli investitori ai margini di un campo minato.
Infatti, il mercato della Cina continentale è particolarmente poco adatto all'investimento passivo indicizzato, che per molti investitori nei mercati emergenti è diventato l'approccio di base.
Non solo la Cina presenta numerose insidie economiche, ma la natura del suo mercato azionario è una potenziale trappola per gli sprovveduti. Riteniamo che il modo più efficace a disposizione degli investitori per aggirare una miriade di possibili rischi sia quello di assumere un approccio dinamico e attivo alle A-shares cinesi.
In crescita continua
L'MSCI sta aumentando il numero di A-shares cinesi all'interno del suo indice dedicato ai mercati emergenti, che è replicato da investitori che controllano oltre 1600 miliardi di dollari USA di attivi, in tre fasi. Entro il 2020, il 20% delle grandi e medie capitalizzazioni delle A-shares cinesi sarà incluso nell'indice. A quel punto, le azioni della Cina continentale rappresenteranno circa il 3,4% del benchmark. Se tutte le A-shares fossero incorporate nell'indice, arriverebbero a più del 16% del totale. Aggiungendo le azioni cinesi quotate al di fuori del Paese, il peso della Cina balzerebbe a oltre il 40%, dall'attuale 30% circahttps://www.msci.com/china.
Questo peso crescente, reso possibile con l'espansione del programma Stock Connect (un accordo che consente agli investitori internazionali di negoziare i titoli quotati sulle borse di Shanghai e Shenzhen sulla Borsa di Hong Kong), potrebbe consentire al mercato cinese continentale di rivaleggiare perfino con Wall Street. Per realizzare una simile ipotesi, tuttavia, occorrerebbe prima superare alcuni ostacoli.
Sfide cinesi
Per iniziare, c'è la questione della governance e delle regolamentazioni. Il mercato cinese non rispetta gli standard istituzionali occidentali su diversi fronti, non ultimo su come le società sono regolamentate. Le società cinesi quotate anche sulla borsa di Hong Kong o New York, scambiate come H-shares o ADR (American Depository Receipts), devono rispettare severe regole di governance. Invece, gli azionisti di minoranza sulle azioni della Cina continentale godono di una protezione legale significativamente più debole. Acquistare un indice rende impossibile separare i titoli di valore da quelli meno buoni.
Ancora più preoccupante è la notizia che di recente Pechino si è rifiutata di salvare le società che rivendicavano garanzie implicite del governo o influenze politiche.
E poi c'è la concentrazione dell'indice. Le A-shares inserite negli indici MSCI sono principalmente i titoli finanziari e industriali della vecchia economia. I primi sono esposti al rischi legato all'elevato livello della leva societaria in Cina: il valore delle obbligazioni societarie in default è triplicato nel 2018.
Invece, i settori della vecchia economia sono a rischio per via del piano di Pechino di spostare l'economia dagli investimenti ai consumi. I titoli della vecchia economia sono anche penalizzati da una notevole sovraccapacità produttiva e da eventuali riaccensioni delle guerre commerciali. Anche dopo una certa razionalizzazione, i settori cinesi del carbone e dell'acciaio rimangono pericolosamente gonfi e vulnerabili sia ai dazi statunitensi che alle misure ambientali domestiche.
La Cina può rappresentare il futuro degli investimenti, ma si tratta di un futuro pieno di ostacoli.
D'altro canto, l'indice azionario MSCI EM è sottoesposto ai settori che a nostro avviso hanno il maggiore potenziale: i titoli legati a Internet e alla sanità. I primi dovrebbero beneficiare degli enormi investimenti della Cina in istruzione e ricerca, mentre i secondi della crescita del ceto medio cinese e dell'invecchiamento della popolazione.
A rendere complicato l'approccio di investimento passivo nei titoli cinesi contribuiscono anche le improvvise inversioni di marcia della politica monetaria e fiscale – la scorsa estate la Banca Centrale cinese ha drenato liquidità; da allora ha cambiato rotta per sostenere la crescita dei prestiti – che rendono più importante la capacità di selezionare i titoli rispetto ad essere legati a un indice.
Inoltre, le frequenti sospensioni delle contrattazioni continuano a colpire gli investitori in A-shares. È relativamente facile per le società continentali quotate sospendere le contrattazioni sui loro titoli, e per periodi lunghi fino a sei mesi. Infatti, metà di tutte le società che emettono A-shares avevano sospeso i titoli nel 2015, durante un periodo di forte turbolenza sui mercati azionari.
L'apertura del mercato azionario della Cina continentale agli investitori esteri offre un enorme potenziale. Ma l'acquisto di tali azioni attraverso prodotti passivi e indicizzati è una scelta rischiosa. Essere bloccati in una ponderazione azionaria imposta da un fornitore di indici espone gli investitori a numerosi rischi. Li lascia sovraesposti ai settori più vulnerabili, in quanto l'economia cinese sta vivendo un significativo ribilanciamento. E non consente loro di prendere in considerazione le diverse qualità della governance societaria. La Cina può rappresentare il futuro degli investimenti, ma si tratta di un futuro pieno di ostacoli.