I livelli di indebitamento pubblico stanno raggiungendo livelli che non si registravano dai tempi della Seconda guerra mondiale, forzando le banche centrali ad aumentare i tassi di interesse. In questa contesto, gli investitori devono cercare di bilanciare l'attrattività dei rendimenti elevati offerti dal debito sovrano, con i rischi legati al possesso di queste obbligazioni.
Uno dei maggiori rischi è lo "sciopero" che i bond vigilantes potrebbero attuare in alcuni Paesi.
In passato, infatti, hanno costretto i governi ad adottare severe misure di austerità alzando i tassi di interesse ai quali erano disposti ad acquistare le obbligazioni appena emesse. Ora che le banche centrali non sono più in grado di acquitare i titoli di stato con la stessa libertà del passato, gli agenti non statali hanno di nuovo il coltello dalla parte del manico.
Ponderare i rischi
Per stabilire i titoli di stato maggiormente a rischio di una fuga degli investitori si devono tenere in considerazione diversi fattori. Gli investitori devono considerare, ad esempio, il volume del debito in circolazione, le prospettive di deficit futuri, la probabilità di crescita economica, il contesto inflazionistico che le banche centrali devono affrontare, l'origine probabile della domanda futura degli investitori, le tempistiche di scadenza e di rifinanziamento del debito esistente.
Ma uno dei fattori maggiormente determinanti è chi detiene il debito.
Tali informazioni sono fondamentali perché ogni gruppo di obbligazionisti - banche centrali, istituti finanziari e investitori domestici e investitori stranieri - tratterà le obbligazioni in modo diverso, con una maggiore probabilità di liquidazione da parte degli investitori stranieri in caso di crescenti difficoltà.
Le banche centrali nazionali sono i detentori più affidabili del debito del proprio Paese. Per gran parte dell'ultimo decennio, le banche centrali hanno assorbito notevoli quantità di debito sovrano nei loro bilanci. Ciò faceva parte dei programmi di quantitative easing concepiti per scongiurare la deflazione e riportare l'inflazione al livello target del 2% (nella maggior parte dei casi), riducendo i costi dei finanziamenti e stimolando la domanda interna, soprattutto a seguito della crisi finanziaria globale.
I bilanci delle principali banche centrali si sono gonfiati fino a raggiungere sette, otto o nove volte i valori normali pre-crisi. Ma fintanto che l'inflazione è rimasta ostinatamente bassa, possedere questi asset non veniva considerato particolarmente rischioso. I tassi d’interesse reali erano negativi, come pure spesso quelli nominali. Nulla impediva alle banche centrali di adottare un approccio "buy-and-hold" in merito ai loro portafogli obbligazionari, con la prospettiva di trarre conforto nella contrazione dei bilanci con il giungere a scadenza delle obbligazioni. Potevano anche assorbire eventuali shock di mercato acquistando ulteriori obbligazioni.
Le opzioni che le banche centrali hanno ora a disposizioni sono ridotte. In caso di recessione potrebbero ragionevolmente smettere di vendere le obbligazioni in loro possesso. Ma è improbabile che inizino a riacquistarle.
Anche le istituzioni nazionali, come le banche e i fondi pensione, assumonospesso un approccio di tipo "buy-and-hold". Sovente sono tenute a detenereasset domestici ritenuti più sicuri - tipicamente debito sovrano - come capitaleregolamentare. Il rischio, in questo caso, è rappresentato dagli sbalzi improvvisi nei rendimenti obbligazionari che potrebbero mettere a repentaglio la solvibilità, come accaduto nel Regno Unito lo scorso anno.
Meno affidabili sono gli investitori retail domestici. Sebbene il capitale retail sia poco mobile, gli investitori non esiteranno ad abbandonare un asset in caso di perdite, segnanandone, solitamente, la fine.
Gli investitori istituzionali e retail stranieri sono i più volatili. Quindi, quanto maggiore è la percentuale del debito detenuto da questi investitori, tanto più sensibile è il mercato al rischio di un'improvvisa fuga degli investitori.
Follow the money
La nostra ricerca dimostra che i mercati obbligazionari più rischiosi sono in gran parte quelli che fanno affidamento sugli stranieri. La vulnerabilità delle obbligazioni sovrane di un Paese a un'eventuale fuga degli investitori è un buon indicatore del rischio complessivo del mercato per gli investitori, come espresso nel nostro modello di rischio sovrano (si veda la Fig. 1).
Ad esempio, Danimarca, Svizzera e Paesi Bassi sono i primi tre Paesi in classifica, ovvero quelli con la minore vulnerabilità fiscale e meno a rischio di fuga degli investitori.
Questo è logico. Alla fine del 2022, gli istituti finanziari danesi detenevano la percentuale più alta di debito sovrano domestico rispetto a qualsiasi altro Paese dell'UE.
Dall'altro lato, una percentuale sostanzialmente maggiore del debito pubblico canadese, belga e francese è detenuta da stranieri. Se si considera che tutti e tre questi Paesi hanno un indebitamento superiore al 100% del PIL possiamo concludere che essi sono particolarmente vulnerabili a una fuga di capitali.
Le obbligazioni statunitensi, francesi, austriache e belghe presentano il livello più elevato di rischio di debito sovrano.
Naturalmente, la vulnerabilità alla fuga degli investitori è solo una parte dell'equazione di rischio, anche se piuttosto rilevante. In gioco entrano poi anche altri fattori.
La combinazione di tutti questi fattori fa sì che gli investitori in obbligazioni statunitensi, francesi, austriache e belghe si trovino ad affrontare il livello più elevato di rischio di debito sovrano.
Gli Stati Uniti si trovano in una posizione unica. I titoli di stato sono detenuti a livello globale come beni rifugio: gli investitori prediligono il debito sovrano statunitense in tempo di crisi. Tuttavia, le ingenti partecipazioni estere al debito statunitense, un dollaro sopravvalutato, elevati livelli di debito interno ed elevati deficit di bilancio potrebbero far vacillare la fiducia nel mercato. Il recente downgrade del debito statunitense da parte dell'agenzia di rating Fitch sottolinea i rischi. Fitch ha citato come ragioni a supporto della sua dcisione "l'erosione della governance", "il previsto ulteriore deterioramento delle finanze pubbliche" e "l'elevato e crescente onere del debito pubblico".
I timori di solvibilità per le obbligazioni dei Paesi sviluppati sembrano infondati Dopotutto, le banche centrali si sono dimostrate pronte e disposte ad acquistare debito nazionale in tempi di stress di mercato, mentre nella maggior parte dei casi l'emissione avviene in valuta nazionale, sebbene vi siano ramificazioni politiche nell'eurozona. Ma come dimostrato dal Regno Unito nell'autunno 2022, i movimenti del mercato possono essere improvvisi e drammatici. E un elevato grado di partecipazione estera può renderli estremi.